Emanuela Ulivi
La guerra, la fame, il colera, non hanno impedito nel 2018 a 150.000 migranti di sbarcare in Yemen, con un incremento del 50% rispetto all’anno precedente. Più di quelli irregolari arrivati in Europa, dove secondo le stime dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, agenzia dell’ONU, ne sarebbero arrivati 134.000 e di questi 107.216 dal Mediterraneo. Eppure in Yemen è in corso la crisi umanitaria più grave al mondo.
Dalla primavera alla guerra
Nello stato più povero della regione, il sussulto delle primavere arabe del 2011 ha portato alle dimissioni di Abdullah Saleh, il presidente in carica dall’unificazione del paese nel 1990, e all’elezione di Abdrabbuh Mansour Hadi, incapace quest’ultimo di chiudere la fase conflittuale, anche di carattere tribale. Intervenuto per stabilizzare la situazione, il Consiglio di Cooperazione del Golfo ha al contrario rinforzato le opposizioni e compattato la minoranza sciita e gli Houti, dal nome della famiglia che li guida, preoccupata di un’avanzare dell’influenza saudita nel paese. La loro è diventata guerra aperta contro il governo, raccogliendo consensi tra la popolazione che vedeva deteriorarsi progressivamente le proprie condizioni di vita. Nel settembre del 2014 arrivano nella capitale Sana’a. L’intervento dell’ONU che sponsorizza un accordo tra il presidente Hadi e gli Houti, non riesce a risolvere le contraddizioni di una presidenza indebolita anche dalla ricomparsa sulla scena dell’ex presidente Saleh, contrario ad un prolungamento del mandato del presidente, che addirittura si allea con le formazioni sciite: quando nel 2017 vorrà rompere con gli Houti pagherà con la vita. Il 22 gennaio 2015 le truppe sciite prendono il palazzo presidenziale e il presidente Hadi deve dimettersi. Il paese è spaccato in due: a Nord gli Houti, sostenuti dall’Iran, a Sud i sostenitori di Hadi. Una situazione che allarma in particolare l’Arabia saudita, determinata a contrastare un’estensione dell’influenza di Teheran. A capo di una coalizione formata da Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Qatar, il Bahrain, cui si aggiungono Egitto, Marocco, Giordania e Sudan, il 5 marzo 2015 bombarda Sana’a, Taiz e Aden. E’ l’inizio di una guerra che non solo mette in ginocchio lo Yemen ma deflagra a livello geopolitico internazionale. L’Arabia è nel mirino ma ci vorrà l’assassinio di Khashoggi a far ricordare anche all’alleato USA il conflitto in Yemen. Dove intanto è risorto Al Qaeda e si è affacciato anche l’ISIS.
Nel frattempo la coalizione si assottiglia: si sfilano l’Egitto, il Qatar dopo le accuse dell’Arabia di non aver preso le distanze dall’Iran e di foraggiare il terrorismo. Arabia ed Emirati restano i belligeranti principali. 10.000 i morti secondo le Nazioni Unite, sei volte tanto per altre fonti.
La situazione umanitaria
Da tempo la situazione umanitaria in Yemen è catastrofica: in un paese già povero, al declino economico - il prodotto interno lordo è calato del 61% negli ultimi tre anni - si è aggiunto il blocco aereo e navale imposto dalla coalizione. Mancano viveri e medicinali. 2.515 morti accertati di colera e 1.2 milioni di casi segnalati nel 2017, 10.000 i contagiati ogni settimana nel 2018. OMS e Unicef hanno vaccinato oltre 306.000 persone, tra cui 164.000 bambini sotto i 15 anni.
I bambini muoiono di malnutrizione e colera. Le immagini di Amal Hussain, la bambina di sette anni morta di fame in un campo profughi il 26 ottobre 2018, non hanno squassato le coscienze del mondo come il piccolo Aylan Kurdi riverso su una spiaggia di Bodrum in Turchia tre anni prima. I dati ONU dicono che 22.2 milioni di persone in Yemen (su un totale di circa 28 milioni di abitanti) ossia il 75%, hanno bisogno di aiuti umanitari e di assistenza; 17.8 milioni hanno difficoltà a trovare viveri e 8.4 milioni rischiano la fame; 2.9 milioni di donne e bambini sono malnutriti, il numero dei bambini gravemente malnutriti è salito del 90% negli ultimi tre anni. 16 milioni non hanno accesso all’acqua potabile e 16.4 non possono avere un’adeguata assistenza sanitaria: meno del 50% delle strutture sanitarie è in funzione, 18 distretti sono senza medici. 11.3 milioni sono in indigenza assoluta e più di un milione hanno necessità di assistenza umanitaria per sopravvivere. Gli sfollati sono 2 milioni mentre un milione è tornato nelle zone di provenienza. 1,25 milioni di dipendenti pubblici sono senza stipendio da tempo, dal 2015 i prezzi dei generi alimentari sono cresciuti del 98% e il carburante del 110%, la disoccupazione raggiunge in alcune regioni il 50%.
I migranti
In cerca di migliori condizioni di vita, di un lavoro nei paesi del Golfo, specie in Arabia saudita, i migranti sbarcano sulle coste dello Yemen ad un ritmo di 7.000 al mese. Secondo l’organizzazione umanitaria INTERSOS, sono due i percorsi più frequentati: la maggior parte degli etiopi passa dal deserto fino a Gibuti. Qui si imbarcano, attraversano lo stretto di Bab-al-Mandab e arrivano in Yemen, nel governatorato di Lahj, a sud-est della zona di Hodeidah, principale linea di fronte del conflitto negli ultimi mesi. “I somali e una parte degli etiopi scelgono invece di partire da Bosaso in Somalia, per poi affrontare un viaggio in mare molto più lungo (circa 200 km) per approdare sulla costa più a est dello Yemen, nel governatorato di Hadramout.” Anche su queste rotte, molto più frequentate di quelle del Mediterraneo, la gente sui barconi muore in mare, se non è morta prima di fame e di sete nel deserto. A giugno 2018, decine di eritrei sono morti di colera a Gibuti.
La maggior parte dei migranti viene dall’Etiopia e dalla Somalia, quasi tutti sono sotto i 25 anni, i minori sono il 20%, molti non accompagnati. Cercano condizioni di vita migliori, attratti dalle storie di chi ce l’ha fatta a trovare un lavoro, a inviare i soldi a casa per mantenere la famiglia e mandare i figli a scuola, a costruirsi una casa e risollevare l’attività agricola dopo anni di siccità. Quanti siano i migranti presenti in Yemen è difficile stabilirlo. Una volta arrivati i migranti trovano un paese sfigurato dalla guerra, coi confini chiusi che vietano loro di raggiungere la meta. Qui comincia la loro tragedia, sotto le bombe, nelle prigioni, nei centri di detenzione, nei campi. Se non muoiono per i bombardamenti, subiscono violenze nelle mani di trafficanti senza scrupoli che nella situazione disastrosa dello Yemen hanno campo libero. Una storia tragicamente simile a quella dei colleghi che trasportano esseri umani nel Mediterraneo verso l’Europa, con abusi, torture e ricatti per avere denaro dalle famiglie di provenienza. In Yemen il controllo delle coste è inesistente e qui è la centrale dei trafficanti che distribuiscono il denaro ai vari trafficanti in Etiopia - dove reclutano le persone nei mercati e per strada, favoleggiando un futuro dorato, ma senza mai parlare della guerra in Yemen - e a Gibuti.
Il ritorno
L’Agenzia IOM, che opera in Yemen, sta lavorando per favorire il ritorno dei migranti dallo Yemen nei loro paesi, con l’aiuto dell’Arabia Saudita, della Germania, della Repubblica Ceca e degli USA, anche se al loro ritorno non troveranno una situazione ideale e auspica che i paesi di origine, di transito e di destinazione favoriscano canali sicuri. Il 6 agosto scorso a Nairobi lo IOM ha lanciato il Piano di Risposta Regionale per i Migranti del Corno d’Africa e dello Yemen, per il periodo 2018-2020, dal costo di 45 milioni di dollari, per sostenere il rientro di 200.000 migranti nel Corno d’Africa, ovvero in Etiopia e Somalia. Il 5 dicembre, alla vigilia dei colloqui in Svezia sullo Yemen, lo IOM ha riunito a Gibuti sette paesi (Gibuti, Etiopia, Egitto, Arabia saudita, Kuwait, Yemen e Somalia) per articolare una risposta umanitaria, in una conferenza dal titolo promettente: Linee sui dividendi per la pace nel Corno d'Africa per assicurare miglioramenti urgenti nella gestione dei flussi migratori verso lo Yemen e i paesi del Golfo.
Insieme alle organizzazioni umanitarie, i paesi si sono impegnati a promuove il ritorno sicuro e volontario dei migranti e la loro reintegrazione; ad assicurare loro l’accesso umanitario; a perseguire i trafficanti di esseri umani per gli abusi inflitti; ad investire in iniziative per affrontare le cause della migrazione irregolare; a fornire ai migranti assistenza sanitaria e a continuare lo scambio di informazioni sulle buone pratiche sulla gestione dei migranti.
In attesa della politica, di un sussulto di pace e di umanità, di un’attenzione dei media mainstream su questa emergenza e sullo Yemen.
16 gennaio 2019