Emanuela Ulivi
Le monarchie del Consiglio di Cooperazione del Golfo hanno classificato il partito libanese sciita e filo iraniano Hezbollah, come organizzazione terrorista. Una decisione, ha spiegato il segretario generale del CCG Abdellatif Zayani, adottata contro un gruppo accusato “di atti ostili contro gli stati del Golfo, compreso il reclutamento di giovani per atti di terrorismo, traffico di armi ed esplosivi, di provocare sommosse, incitare al caos e alla violenza”, e che in serata ha già ricevuto, tra l’altro, l’appoggio dei ministri dell’interno della Lega araba riuniti a Tunisi.
L’annuncio è arrivato neanche 24 ore dopo il discorso pronunciato dal segretario del Partito di Dio, in cui Hassan Nasrallah ha puntato il dito contro l’Arabia Saudita sia per i recenti attentati in Siria, Libano e Iraq, sia per le violenze nello Yemen, sia per il tentativo di fomentare la discordia tra sunniti e sciiti nel Paese con l’annunciato stop agli aiuti militari alle forze armate libanesi.
Gli stati del CCG, Arabia saudita, Qatar, Bahrein, Kuwait, Emirati Arabi Uniti e Oman, tutti a maggioranza sunnita, già avevano preso ognuno delle iniziative contro la formazione sciita libanese; questa è la prima volta che in sede di Consiglio di Cooperazione del Golfo si definisce Hezbollah gruppo terrorista, come hanno già fatto gli Stati Uniti e, anche se solo relativamente al suo braccio militare, l’Unione Europea. Il Partito di Dio combatte in Siria a fianco delle truppe del presidente siriano Bashar el Assad – appoggiato da Teheran – contro i ribelli dell’opposizione, al Qaeda e i jihadisti dello Stato Islamico. E’ inoltre accusato dalle monarchie del Golfo di essere la testa di ponte dell’Iran, di ingerenza negli affari di singoli Paesi della regione, ma anche, afferma il governo yemenita, di aiutare i ribelli houthi combattendo con loro lungo il confine con l’Arabia saudita, a sua volta impegnata in prima persona nella coalizione sunnita contro i ribelli yemeniti sostenuti, si dice, da Teheran.
Perché se dietro Hezbollah c’è l’Iran, capofila dei sei stati del CCG è la monarchia saudita, allarmata dalla riabilitazione internazionale della repubblica islamica iraniana dopo l’accordo sul nucleare e dalla sua influenza crescente in Medioriente. Già a gennaio Riyadh aveva indotto diversi Paesi arabi a interrompere le relazioni diplomatiche con l’Iran, in seguito alle dimostrazioni e all’incendio della sua ambasciata a Teheran, nelle manifestazioni contro l’uccisione di 47 sciiti giustiziati in Arabia, tra i quali il dignitario religioso Nimr al-Nimr. In Libano invece, dove Hezbollah ha il suo peso nella paralisi delle istituzioni, nei giorni scorsi l’Arabia ha chiesto ai suoi cittadini di lasciare il Paese, seguita dagli altri stati del Golfo ad eccezione dell’Oman. Motivando la decisione con il calo della presenza in Libano di cittadini sauditi che costituiscono il grosso della sua clientela, a metà febbraio la banca saudita National Commercial Bank (NCB) ha manifestato l’intenzione di chiudere le sue due agenzie in Libano. L'Arabia ha, soprattutto, deciso di sospendere il programma di aiuti militari all’esercito libanese, forniti dalla Francia, per un ammontare di 3 miliardi di dollari, sanzionando successivamente alcune società legate al Partito di Dio.
Misure “appropriate” da parte del CCG sono state quindi annunciate contro Hezbollah, le cui “esazioni nei Paesi del Golfo e gli atti di terrorismo in Siria, Yemen e Iraq costituiscono una minaccia alla sicurezza nazionale araba”, come ha dichiarato il segretario Zayani. Ma che potrebbero contribuire ad alzare il livello di conflittualità direttamente in Libano, nonostante Hezbollah abbia riaffermato di non voler alimentare alcun scontro interno, nonostante la dichiarata neutralità del Paese nella guerra in Siria, nonostante la buona volontà dell’ex premier sunnita Saad Hariri, appena tornato in patria dopo cinque anni di esilio forzato a Parigi. Per i suoi stretti legami politici ed economici con i Paesi della regione, primi tra tutti l’Iran e l’Arabia saudita, il Libano potrebbe ritrovarsi ancora una volta nell’occhio del ciclone.
2 marzo 2016