Emanuela Ulivi 

Si  occupa ancora di politica ma da una prospettiva molto più ampia e più “popolare”, come la definisce. Riccardo Migliori è oggi Presidente del Coordinamento Interparlamentare dell’Istituto Italiano per l’Asia e il Mediterraneo, un’istituzione che lavora da quarant’anni all’internazionalizzazione del nostro Paese contribuendo a creare legami e premesse della politica estera italiana. Una lunga carriera politica lo ha portato dai banchi del Consiglio comunale di Palazzo Vecchio, prima nelle file del Movimento Sociale Italiano e poi di Alleanza Nazionale, al Parlamento dove è stato deputato dal 1996 al 2013 con AN e con il Popolo delle Libertà di Berlusconi. 

Durante il suo mandato parlamentare, Migliori ha collaborato attivamente con l’Associazione Italia-Kuwait. In particolare si è interessato a più riprese dei prigionieri di guerra kuwaitiani trattenuti o scomparsi in Iraq, la cui sorte è rimasta senza risposta per decenni ed è, pur con altre dimensioni, una questione ancora aperta, ed ha compiuto una visita significativa nella capitale dell’emirato, su invito del Parlamento del Kuwait.   

Lei è stato presidente della delegazione italiana presso l'Osce, l’assemblea dell’ Organizzazione per La Sicurezza e la Cooperazione in Europa, dal luglio 2012 fino al 2014. Che esperienza è stata per lei?

L’Osce raggruppa 57 Paesi, ovvero 57 Parlamenti con 323 parlamentari ed ho provato la stessa emozione di Giuseppe Vedovato, senatore e dopo presidente dal 1972 al 1975 dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa. Fiorentino come me, Vedovato diceva che i fiorentini disconoscono quello che fanno. L’Osce è in prima linea, e rappresenta una possibilità di incontro: come quella tra il Papa, il ministro degli esteri russo Lavrov e Hillary Clinton. Hillary Clinton diceva che solo l’Osce mette insieme russi, americani e Vaticano. 

Dall’Osce all’Isiamed, dove lei è Presidente del Coordinamento Interparlamentare e coordinatore del Dipartimento Socio-Sanitario. Come è avvenuto questo passaggio?

Curando le relazioni coi parlamenti che hanno rapporti con l’Isiamed. Questa dell’Istituto è una diplomazia di persone, se vuole popolare, sotterranea, soprattutto per molte questioni non semplici. Le nostre iniziative creano canali che le diplomazie ufficiali non riescono a creare. Siamo un po’ il Genio Pontieri della politica. 

Come nel caso delle iniziative sulla TAP con l’Ambasciata dell’Azerbaijan e più in generale in campo energetico?

La TAP (la Trans-Adriatic Pipeline che dall’inizio del 2020 dovrebbe far arrivare 10 miliardi di metri cubi di gas l’anno in Europa dal giacimento Shah Deniz in Azerbaijan, attraversando la Turchia, la Grecia, l'Albania, fino a San Foca, sulle coste del Salento) costituisce un’alternativa alla line cancellata dal presidente russo Putin, il gasdotto di South Stream che avrebbe portato il gas dalla Russia all’Unione Europea. Ma va preparata culturalmente; riguarda un interesse strategico nazionale, in cui sono coinvolte le nostre aziende.

Ci riguarda molto da vicino anche il terrorismo, specie dopo l’attacco al museo di Tunisi dove sono morti degli italiani.

Il terrorismo è una sfida che investe la comunità internazionale. Ma sono ottimista: sarà sconfitto come lo è stato a suo tempo in Italia. Il mondo ha bisogno di nuovi equilibri; oggi nel mondo ci sono 200 stati indipendenti, cinquant’anni fa erano 80. Nel 1989 è caduto il muro di Berlino e da 180.000 bombe atomiche ora ce ne sono 20.000. E’ stata sconfitta la fame, è rimasta una piccola striscia nel Sahel ma il primo obiettivo del Millennio è stato raggiunto. E’ calata la percentuale di persone senza accesso all’acqua potabile, anche se rimangono ancora 750 milioni di persone senza. Lo sviluppo dei Paesi del cosiddetto “Terzo Mondo” è stato straordinario. Willy Brandt a suo tempo tracciò una linea tra Nord e Sud del mondo, ora le donne algerine hanno tanti figli quanti le svedesi. Nel Sud ci sono Al-Qaeda, l’Isis e Boko Haram, l’ebola. C’è il terrorismo, c’è la guerra civile tra sunniti e sciiti sostenuti dall’Arabia e dall’Iran. E c’è il tentativo di creare l’Africastan, cioè di creare uno stato, il Mali o un altro, che faccia implodere l’Africa. La posta in gioco non sono l’Iraq e la Siria dove lo Stato Islamico verrà spazzato via, ma è l’Africa. Ecco perché prima o poi si andrà in Libia, appena ci saranno le condizioni politiche interne. Bisogna integrare nell’Unione Europea i Paesi del Maghreb, a parte la Turchia.”

Che ancora aspetta di entrare nell’UE.

La Turchia non l’hanno voluta la Francia e la Germania. Il nuovo Processo di Barcellona è la nuova Unione Europea politica, non solo una zona di libero scambio coi Paesi mediterranei.

Il nostro Paese è sempre più oggetto di interesse da parte dei Paesi del Golfo, vedi Ethiad in Alitalia tanto per fare un esempio. Con quali prospettive?

In Italia quando non abbiamo investimenti stranieri ci lamentiamo e se arrivano ci sentiamo colonizzati. Invece dobbiamo essere aperti alla colonizzazione. Serve o no questa contaminazione alla democratizzazione? o serve la chiusura con le sanzioni? Dobbiamo al contrario sviluppare le relazioni e non favorire l’isolamento.

L’Italia ha già una relazione solida col Kuwait, che investirà molto. Quale futuro avranno i legami tra i due Paesi?

A Firenze è nata l’Associazione Italia-Kuwait durante la prima Guerra del Golfo. Abbiamo tutte le stimmate per capire quel Paese. Pochi giorni fa Matteo Renzi alla conferenza sullo sviluppo economico dell’Egitto a Sharm El Sheik (dove il Kuwait, l’Arabia Saudita e gli Emirati si sono impegnati a versare all’Egitto altri 4 miliardi di dollari a testa, n.d.r.), ringraziando per la contribuzione ha citato il Kuwait come esempio positivo. Questo significa che l’emirato ha un ruolo internazionale crescente. In quella regione c’è bisogno di pesi e contrappesi, c’è il Qatar che aiuta chi non dovrebbe (i Fratelli Musulmani, n.d.r.) e c’è il Kuwait che fa da contrappeso.

Pur avendo rapporti consolidati con tutto il mondo arabo, l’Italia ha un peso diseguale rispetto ad altri stati europei in Medioriente e nel Mediterraneo, anche perché a differenza della Francia e della Gran Bretagna non siede nel Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite. Come può giocare allora la sua specificità?

Abbiamo molta credibilità e affidabilità. E’ stato un errore non voler partecipare al gruppo dei “5+1” sul nucleare dell’Iran, questione per la quale abbiamo lavorato molto. Poi è prevalsa la convinzione che avremmo dovuto litigare con l’Iran e abbiamo preferito defilarci. Questo vuol dire che abbiamo scarsa fiducia in noi stessi, ma è anche la dimostrazione che abbiamo un ruolo. Bisogna essere ottimisti.

Dal 2013 lei è fuori dal Parlamento ma non dalla politica.

Non ho impegni specifici nel  Nuovo Centro Destra, sono in panchina a bordo campo.

Dove stanno gli allenatori: da lì come vede la politica italiana di oggi?

La situazione del centro-destra è magmatica e sono perplesso; è in grosse difficoltà ed ha trazioni leghiste, è anche poco competitiva sul piano del governo. La volontà di Berlusconi di chiudere il PDL è stato un errore: ha ricostituito Forza Italia ed è nato Fratelli d’Italia che ha riportato indietro l’orologio di vent’anni: l’Italia del 1994 è diversa da quella del 2015 e la sinistra ha gioco più facile come forza di governo”.

E a sinistra?

Renzi sta tentando di costruire una sinistra meno ideologica e più pragmatica. Non so se ci riuscirà, ma il tentativo c’è. E poi a sinistra di Renzi c’è la creazione di un polo più radicale.

Non pensa di rimettersi in gioco e di tornare a Firenze con qualche incarico politico?

No, è bene che ci siano altri. Ho cominciato a fare politica a vent’anni, ho vissuto la prima e la seconda repubblica e non posso esserci anche per la terza. 

25 marzo 2015

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