Emanuela Ulivi
La Giordania lancerà un’iniziativa su scala regionale per bloccare l’uso dell’informatica e dei media da parte dei terroristi. Lo ha annunciato ieri la rappresentante del regno hashemita all’Onu, Dina Kawar, nel corso della riunione del Consiglio di Sicurezza dedicata alla cooperazione internazionale nella lotta al terrorismo, precisando che la Giordania intende riunire ad Amman esperti e parti interessate per far luce su come i gruppi terroristici fanno uso delle tecnologie informatiche per propagandare la loro ideologia. L’idea è quella di elaborare un piano mirato sui media che non solo contrasti il terrorismo ma renda consapevoli dei suoi danni.
Una battaglia in questa direzione la Giordania l’ha già avviata dentro ai propri confini. A maggio è stata emendata la legge antiterrorismo del 2006 - non senza polemiche da parte dell’opposizione - che oltre ad inasprire le pene fino alla pena di morte allarga la definizione di terrorismo includendo, tra l’altro, l’uso di Internet per promuoverne l’ideologia. Un mezzo e un metodo che i jihadisti hanno dimostrato di saper sfruttare in modo sofisticato, per una piazza virtuale dall’audience planetaria.
In Giordania l’asticella del rischio terrorismo si è alzata dopo che a settembre il Paese ha aderito alla coalizione guidata dagli Stati Uniti contro i militanti dell’IS, lo Stato Islamico, che non solo combattono in Siria e in Iraq, due Paesi confinanti dai quali arrivano in Giordania moltitudini di rifugiati, ma attirano consensi e reclutano di continuo jihadisti. Anche da Amman. Parallelamente si è alzato il livello di guardia, a tutto campo: sono stati arrestati 130 simpatizzanti dell’IS, in maggioranza militanti di gruppi salafiti, non pochi imputati di aver propagato l’ideologia terroristica su Internet. Lunedì scorso cinque persone sono state condannate in quanto membri dell’IS e per aver promosso il gruppo jihadista su Internet; un altro è comparso davanti al giudice con l’accusa di aver aderito al capo dell’IS, Abu Bakr al-Baghdadi, sulla sua pagina di Facebook. La stretta riguarda anche le moschee, circa 6.000 in Giordania, possibili luoghi di diffusione di idee estremiste. A 25 gli imam ai quali è stato vietato predicare.
Un’altra battaglia, molto più profonda è quella invocata dalla regina Rania di Giordania. La lotta contro l’IS sarà vinta solo se il mondo arabo saprà riprendere in mano la sua narrativa, ha ricordato pochi giorni fa al Summit dei Media 2014 di Abu Dhabi davanti ai rappresentanti di 500 industrie del settore: “una minoranza di estremisti sta usando i social media per riscrivere la nostra narrativa rubandoci l’identità e stravolgendoci” ha affermato. Le immagini di violenze e distruzione che arrivano dal mondo arabo non rappresentano la vasta maggioranza degli arabi, sono estranee e ripugnanti per gli arabi musulmani e cristiani e sono un attacco ai nostri valori e alla nostra storia, ha insistito la regina, chiamando all’appello la maggioranza moderata e silenziosa degli arabi, poiché il silenzio è il più grande regalo che si possa fare loro e “ci rende complici del loro successo”.
Pur sostenendo la coalizione anti IS, di cui fanno parte altri quattro Paesi arabi (Bahrain, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti) per Rania di Giordania la battaglia contro gli estremisti va ben al di là di quella che si sta combattendo sul campo. In gioco c’è il futuro dell’Islam e il futuro del mondo arabo, “una battaglia che i moderati debbono vincere” e che si gioca anche sul piano filosofico perché è un’ideologia a spingere i jihadisti. I quali provengono da istituzioni scolastiche in cui non sono mai stati sfidati a pensare con la loro testa ma si sono formati su programmi ormai vecchi, e da società con tassi elevati di disoccupazione, senza protezioni sociali e rare opportunità che permettano loro una vita degna. Servono quindi lavoro e una riforma dell’istruzione. Serve più in generale un risveglio degli arabi, cui la regina Rania ha dato voce e inizio.
20 novembre 2014