Jacopo Salvadori 

Sono  venticinque le persone arrestate ieri per la tragedia della miniera di carbone di Soma, nella provincia di Manisa, in cui sono morte 301 persone. Sono tutte accusate di negligenza, mentre tre sono imputate anche di omicidio plurimo colposo.

Tra gli arrestati ci sono alcuni alti dirigenti della Soma Komur, la società che gestiva la miniera: il direttore generale Ramazan Dogru, il direttore finanziario Ali Ulu e il responsabile delle operazioni Akin Celik. 

Proprio Celik, a ventiquattro ore dal disastro, aveva difeso la società dichiarando che “non c'è stata negligenza” e che in 20 anni da responsabile “non ho mai visto niente del genere. Non vogliamo – ha puntualizzato il dirigente - che in futuro nessuno dei nostri dipendenti si faccia mai più del male, anche solo ad un'unghia”. 

Alle dichiarazioni di Celik ha fatto eco il premier turco Erdogan, che oltre a negare anch’egli ogni sorta di negligenza, ha spiegato che dal 2009 a Soma ci sono stati undici “controlli rigorosi” e che non è stata trovata nessuna irregolarità. Affermazioni che qualcuno ha smentito, replicando che gli ispettori non si sono mai spinti oltre i 100 metri sottoterra.

Non è la prima volta che in Turchia succedono episodi di questo tipo, legati alla sicurezza delle miniere di carbone. Negli ultimi quattro anni le vittime sono state più 400, senza contare il disastro del 1992 nella miniera di Zonguldak, nella regione del Mar Nero, in cui hanno perso la vita 263 minatori per un'esplosione sotterranea, proprio come è successo mercoledì a Soma.

Intanto nel Paese cresce la rabbia verso i responsabili del peggior disastro industriale della storia turca e verso il governo Erdogan, che secondo l'opinione pubblica è colpevole almeno quanto i dirigenti della Soma Komur per non aver provveduto alla sicurezza dell'impianto. Sabato scorso 10mila persone sono scese per le strade della città di Soma per protestare contro il governo Erdogan. In poche ore sono iniziati gli scontri con la polizia, che ha utilizzato gas lacrimogeni, idranti e proiettili di gomma.

A gettare benzina sul fuoco anche le foto e i video che stanno facendo il giro del mondo, in cui si vede il consigliere del primo ministro, Yusuf Yerkel, mentre prende a calci un manifestante bloccato a terra da due soldati. 

Due settimane fa il Partito Popolare Repubblicano, il principale partito di opposizione turco, aveva chiesto di indagare sulle condizioni di sicurezza proprio della miniera di carbone di Manisa, ma aveva ottenuto un no secco dal Partito per la Giustizia e per lo Sviluppo del premier Recep Tayyip Erdogan, che ha la maggioranza assoluta in parlamento. 

Secondo la Kesk, il più grande sindacato turco, i veri imputati della tragedia di Soma sono “le politiche di privatizzazione, le minacce alle vite dei lavoratori per ridurre i costi”. Per questo è stato indetto uno sciopero nei prossimi giorni.

19 maggio 2014

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