Jacopo Salvadori
Entro giugno l'Egitto avrà un nuovo presidente. Lo ha promesso oggi il presidente ad interim Adly Mansour, rassicurando i cittadini, visibilmente preoccupati sui tempi delle prossime elezioni, dopo l'incontro coi leader politici egiziani di giovedì scorso, tenutosi al Cairo.
Nell'occasione, Mansour ha fatto sapere anche che le procedure per le elezioni sono quasi ultimate e che, una volta eletto il presidente in modo democratico, inizierà l'iter per le elezioni legislative che, come recita l'articolo 230 della nuova costituzione, devono essere indette tassativamente entro sei mesi dalla sua entrata in vigore, quindi entro il 17 luglio.
Stando alle parole di Mansour, tra circa tre mesi ci sarà un nuovo presidente, anche se ancora non si conoscono i nomi di tutti i candidati. L'unico certo finora, è Hamdeen Sabahi, leader della Corrente Popolare Egiziana, movimento laico formato nel 2012, arrivato terzo alle elezioni presidenziali del 2012 con il 21,5% dei voti. La candidatura più attesa è sicuramente quella del generale Abdel Fattah al-Sisi, l'ex Ministro della Difesa, che ancora non ha rassegnato le dimissioni dall'esercito, come previsto se vuole candidarsi, anche se in molti si aspettano una sua candidatura ufficiale già nei prossimi giorni. Al-Sisi potrà contare infatti sul sostegno dell'ex premier Ahmad Shafiq, che nelle ultime settimane ha reso pubblico il suo appoggio.
Molti esperti sono convinti che sarà proprio il generale a vincere con ampio margine le prossime elezioni. Allora per quale motivo non si è ancora candidato? Secondo Nathan J. Brown, della Elliot School di Washington, invitato nei giorni scorsi a Roma dall'Istituto Affari Italiani, “all'interno dell'esercito Sisi non viene considerato un leader indiscusso, ma un ufficiale come gli altri, senza privilegi”, il secondo è che nel periodo del governo militare nel periodo tra la caduta di Mubarak e l'elezione di Morsi, dal febbraio 2011 al giugno 2012, “le forze armate si sono guadagnate una fama poco lusinghiera come governanti”.
"L'Egitto è oggi una sorta di Stato che contiene altri stati – ha spiegato Brown – in cui i poteri che rappresentano le forze armate, la magistratura, gli apparati di sicurezza e anche la struttura religiosa che fa capo ad Al Azhar, godono tutti di una propria forte autonomia”. L'analista statunitense non ha dubbi sui risultati delle prossime elezioni, sia quelle presidenziali che quelle legislative: “non emerge alcuna personalità in grado di sfidare la probabile candidatura a presidente del generale al-Sisi e il Parlamento che uscirà dalle prossime elezioni legislative sarà probabilmente molto frammentato”. Per quanto riguarda il futuro del Paese, Brown non è molto ottimista. “Non penso che l'Egitto possa collassare come la Libia: no, lo stato egiziano sopravviverà. Ma temo che lo farà in modo profondamente disfunzionale”.
17 marzo 2014