Emanuela Ulivi 

I rapporti tra gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita sono “strategici e duraturi”. Così si è espresso il segretario di stato John Kerry volato a Riyadh per ricucire i rapporti con la monarchia del Golfo incrinati dalle divergenze sulle ultime prese di posizione di Washington in Medioriente.

La rinuncia degli Usa ad attaccare la Siria dopo la scoperta, ad agosto, di centinaia di civili uccisi coi gas tossici alla periferia di Damasco, ha infatti provocato la reazione dell’Arabia che in segno di protesta il 18 ottobre scorso ha annunciato di rifiutare il suo posto nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU, denunciando l’impotenza della comunità internazionale nel trovare una soluzione alla guerra civile in corso tra il regime di Assad, appoggiato dall’Iran, e i ribelli, armati dalla monarchia saudita.

A preoccupare l’Arabia è anche il “nuovo corso” che si profila nelle relazioni tra l’amministrazione di Obama e l’Iran del neopresidente Rohani, sia a proposito del programma nucleare iraniano che delle trattative di pace in Siria, dove potrebbe materializzarsi un governo sostenuto dall’Iran. 

Il conflitto in Siria rappresenta infatti agli occhi dell’Arabia, il teatro di una contesa per la supremazia in Medioriente tra la coalizione sciita appoggiata dall’Iran e l’alleanza filo-occidentale sunnita composta dai Paesi del Golfo, dall’Egitto e dalla Turchia. Per questa ragione i sauditi hanno sollecitato Washington per mesi affinché assumesse un ruolo più attivo in Siria,  disponendo, se necessario, un attacco aereo e l’imposizione di una no-fly zone, armando e addestrando l’opposizione. Ma gli Usa non hanno dato un seguito concreto all’idea, temendo di essere coinvolti in una guerra civile o di fornire armi che invece che ai ribelli potevano finire nelle mani degli islamisti.

L’incontro di ieri tra John Kerry e il re Abdullah, nonostante il tentativo di entrambi i partner di ammorbidire i toni e le assicurazioni del sottosegretario americano che gli USA, pur interloquendo con l’Iran, non arriveranno ad alterare i rapporti con Riyadh, non ha portato ad un avvicinamento sostanziale delle posizioni.

Riguardo alla Siria, gli USA stanno premendo perche’ l’Arabia partecipi alla seconda conferenza di pace di Ginevra, convinti che la soluzione politica alla guerra civile in corso sia l’unica possibile, e non avendo –lo hanno detto chiaramente- né l’autorità né il desiderio di intervenire in Siria. I sauditi invece hanno ribadito anche durante il colloquio con Kerry che pur riconoscendone l’importanza, i negoziati non possono continuare all’infinito, col presidente Assad che resta ancora al suo posto.

Durante la conferenza congiunta a conclusione della visita del segretario di stato americano, il ministro degli esteri saudita, il principe Saud al-Faisal si è spinto fino a parlare di amicizia tra i due Paesi, legati oltre che da relazioni politiche anche da rapporti economici, nonostante le divergenze coinvolgano altri versanti della politica mediorientale americana.

L’Egitto ad esempio, dove Kerry ha fatto tappa prima di arrivare a Riyadh. Dopo la cacciata a luglio del presidente democraticamente eletto Mohamed Morsi e il ritorno al potere, seppure in via transitoria, dei militari, gli Stati Uniti hanno sospeso i finanziamenti al Cairo. L’Arabia invece, che non aveva gradito il riavvicinamento dell’Egitto all’Iran –vedi la presenza del presidente egiziano Morsi al vertice del Movimento dei Paesi non Allineati a Teheran l’anno scorso- ha subito appoggiato il regime dei militari, e proprio mentre gli scontri tra i sostenitori del presidente deposto e i suoi oppositori diventavano sempre più sanguinosi ha inviato in Europa lo stesso ministro degli esteri che ieri ha strinto la mano a Kerry, per convincere i governanti occidentali a non sospendere gli aiuti finanziari all’Egitto. 

Infine i negoziati israelo-palestinesi: troppo deboli, per Riyadh, le pressioni americane sull’alleato israeliano a proposito delle colonie che continuano a crescere.  

Stasera John Kerry arriverà a Tel Aviv; domani incontrerà il primo ministro Benjamin Netanyahu e il presidente palestinese Mahmud Abbas, per dare impulso ai negoziati di pace in corso. 

Secondo quanto anticipato ieri dal quotidiano israeliano Haaretz, l’amministrazione Obama presenterà a gennaio un nuovo piano di pace per raggiungere uno status permanente tra israeliani e palestinesi. Il piano affronterà le questioni fondamentali e prevede, a partire dai confini del 1967, scambi di terra condivisi. Con questa iniziativa Washington intende mettere mano alla pace nell’intera regione sulla base dell’Iniziativa Araba di Pace proposta dalla Lega Araba, che data ormai dal 2002. Di questa intenzione, riporta ancora il quotidiano israeliano, il segretario di stato John Kerry avrebbe informato il premier Netanyahu due settimane fa durante il loro incontro a Roma. 

5 novembre 2013 

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