Matteo Cinelli 

Le forze armate guidate dal generale el-Sisi hanno preso il potere mercoledì scorso, destituendo il presidente in carica Mohammed Morsi  - espressione dei Fratelli Musulmani, democraticamente eletto nel giugno 2012 - che hanno confinato agli arresti domiciliari alla scadenza dell’ultimatum lanciatogli lunedì 1 luglio. Adly Mansour, presidente della Corte Costituzionale egiziana è già il nuovo capo di stato, scelto dai militari in quanto figura politicamente neutrale e adatto a gestire la transizione verso un nuovo governo.

“Non vogliamo un potere politico - ha dichiarato il generale el-Sisi - siamo dovuti intervenire per rispondere alla richiesta di aiuto del popolo egiziano”. Il ritorno al potere dell’esercito, responsabile dell’uccisione di 200 manifestanti dopo la caduta del presidente Mubarak nel 2011, è oggi salutato dalla maggior parte degli egiziani che hanno chiesto al presidente Morsi di andarsene: “El Sisi potrebbe agire da mediatore imparziale- ha affermato Hassan Nafaa, docente di scienze politiche all'Università del Cairo -  e portare l'Egitto a nuove elezioni in poco tempo, portando il Paese fuori dall’impasse politica”.

L'esercito, fin dai tempi del presidente Nasser è sempre stato il protettore della nazione ed un protagonista della vita politica, economica e sociale del paese. Con Mubarak divenne un'istituzione predominante non soltanto in termini militari, ma soprattutto economici. Gestisce infatti, stando a quanto sostiene il giornalista e studioso americano Joshua Hammer, il 40% della ricchezza nazionale: è titolare di industrie energetiche, di aziende agricole e edilizie, è proprietario di immobili e di strutture turistiche e si occupa perfino della distribuzione dei beni di consumo. Riceve anche consistenti aiuti dagli USA, sia in termini economici (1,5 miliardi di dollari all'anno per spese militari) che di materiale tecnico. 

Il ritorno delle forze armate al potere ha suscitato la violenta reazione dei Fratelli Musulmani, secondo i quali la mossa dei militari porterà alla guerra civile e a un bagno di sangue, affermazioni queste che hanno allarmato la comunità internazionale. Sull’altro fronte si trovano i giovani del movimento Tamarrud, rappresentati da Mohammed el-Baradey, ex direttore generale dell’Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica e Nobel per la pace nel 2005. El Baradey, che è anche coordinatore del Fronte di Salvezza Nazionale, la coalizione che ha riunito fino ad oggi i principali partiti di opposizione ai governi Mubarak e Morsi, piace ai militari e agli Stati Uniti perché ritenuto persona moderata e popolare in tutto il Paese, sia presso i laici che presso gli islamisti. Ma c’è anche chi lo critica: “E’ rimasto lontano dal paese per anni per far carriera negli Stati Uniti” sostiene Wael Abbas, blogger egiziano seguito da moltissimi giovani del Paese grazie alla sua opera di denuncia dei misfatti dei governi Mubarak e Morsi, critico anche nei confronti dei giovani attivisti di Tamarrud per esser scesi a patti con i militari: “l'esercito ha sfruttato l'occasione offertagli dal fallimento di Morsi per riprendersi il potere” a scapito della democrazia invocata dal popolo.

Per Kahled Al Berry, ex fondamentalista islamico e giornalista molto ascoltato, il ritorno dell'esercito dopo appena un anno dalle dimissioni di Mubarak, è la prova che il governo Morsi ha fallito nel tentativo di governare l'Egitto con la legge islamica. L'Islam, secondo Al Berry, esercita ancora la sua influenza sulle masse poco istruite, soprattutto nelle campagne; “se il Paese vuole progredire sulla strada della democrazia - conclude - dovrà prevalere l'istruzione sull'ignoranza”.

6 luglio 2013

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