di Emanuela Ulivi
Il Libano vive un’altra stagione delicata. Il 22 marzo scorso il capo del governo Najib Miqati si è dimesso, ma il premier incaricato Tamman Salam, che sembra avere idee molto chiare, non è ancora riuscito a trovare un accordo tra le forze politiche per formare un nuovo esecutivo, per quanto finalizzato a portare il Paese alle elezioni. L’auspicata nuova legge elettorale con la quale andare a votare alle prossime legislative previste a giugno, è ancora in alto mare; le proposte presentate fin qui non hanno trovato per un motivo o per l’altro, il consenso delle parti. Nonostante la dichiarata neutralità, il Libano è direttamente interessato dalla guerra che si sta combattendo in Siria. Oltre ai rifugiati –470.000 secondo gli ultimi dati dell’Alto Commissariato per i Rifugiati dell’Onu- i bombardamenti dell’esercito siriano su alcuni villaggi alla frontiera Nord fanno temere un’escalation. Dall’altra, la partecipazione ormai scoperta di Hezbollah al conflitto a fianco di Bashar al-Assad, minaccia il coinvolgimento diretto del Libano in una guerra di dimensioni regionali. Cosa accadrà? E’ scettico Saad Kiwan, giornalista e intellettuale libanese, ospite a Firenze alla due giorni del Forum dei Giornalisti del Mediterraneo: “Non sono ottimista, la situazione è aperta a tutte le possibilità e in Libano oltretutto in questo momento c’è un vuoto dell’esecutivo”.
Tamman Salam sta cercando di riempirlo. Sembra però che la coalizione dell’8 marzo (nata subito dopo la rivoluzione dei cedri del 2005 e filosiriana) voglia di nuovo un terzo dei ministri che avrebbero il potere di bloccare le decisioni del governo. Salam invece vuole un esecutivo super partes. Ancora un braccio di ferro?
“Innanzitutto bisogna ricordare che l’incarico a Salam di formare un nuovo governo è arrivato dopo che il governo Miqati è saltato: non andava bene a Hezbollah che non poteva più contenerlo. Quello a Salam è stato un incarico a sorpresa ed ha ottenuto il voto di 124 parlamentari su 128, compresi i voti di Hezbollah. Salam è espressione del 14 Marzo (la coalizione di partiti nata nel 2005, un mese esatto dopo l’assassinio del premier Rafiq Hariri, contro il regime siriano e la sua presenza in Libano, n.d.r.). Eletto deputato alle ultime legislative nella lista di Saad Hariri a Beirut, Tamman è figlio di Saeb Salam, sei volte primo ministro, uomo di dialogo; celebre la sua frase all’indomani della guerra civile “né vincitori né vinti”. Nel 1992, quando i cristiani decisero di boicottare le elezioni perché l’accordo di Taef (che nel 1989 ha posto fine alla guerra libanese durata 15 anni, n.d.r.) non era stato applicato, anche Tamman Salam non si candidò. Successivamente, nel 2008 è stato ministro della cultura nel governo di Fouad Seniora. Hezbollah lo ha votato come premier incaricato perché, già impegnato nei combattimenti in Siria a fianco di Bachar el Assad, non ha voluto inasprire la propria posizione politica. La nomina di Tamman Salam ha portato entusiasmo e ottimismo in Libano, perché ha spiazzato tutti annunciando che il suo governo avrà come compito specifico quello di portare il Paese alle elezioni. Sarà inoltre sganciato dai partiti e composto da ministri in carica a rotazione che non si ricandideranno alle prossime elezioni legislative, a cominciare da lui. La sua idea è quella di ripetere l’esperienza dell’ex premier Najib Miqati nel 2005, all’indomani della ‘Rivoluzione dei Cedri’”.
“Se in un primo momento – spiega Kiwan - Hezbollah e Michel Aoun (il generale cristiano a capo della Corrente Patriotica Libera, alleato del Partito di Dio dal 2006, n.d.r.) hanno detto di si alla nomina di Salam, ora cominciano a mettergli i bastoni tra le ruote ostacolando il suo tentativo di formare un governo. Per primo Hezbollah, che per difendere i propri interessi vuole avere un suo rappresentante nel governo. Chiedono quindi un governo politico. E siccome non c’è ancora la nuova legge elettorale che tutti vogliono non ritenendo quella vigente sufficientemente rappresentativa, non si sa neanche se andremo alle elezioni. L’8 Marzo ha perciò tentato di legare la formazione del governo al varo di una nuova legge elettorale, mentre il 14 marzo ha dato carta bianca al premier incaricato, Salam che, per parte sua, è fermo sulle proprie posizioni”.
La legge elettorale per andare a votare a giugno, ancora non c’è. Il progetto di legge cosiddetto greco-ortodosso, appena affossato, che prevedeva collegi elettorali separati in cui i candidati sono eletti esclusivamente dai componenti della propria comunità, aveva però diversi sostenitori. Questo vuol dire che il confessionalismo sta guadagnando terreno?
“La legge elettorale è un’altra trappola. La proposta di legge greco-ortodossa è stata lanciata un anno fa. Da un lato il patriarca maronita Béchara Rai vuole riunire i cristiani, dall’altra Hezbollah teme di perdere le elezioni dopo il fallimento dell’ultimo governo monocolore. Il 14 marzo, che sperava nella caduta di Assad in Siria, vede che così non è. Perciò sia il 14 marzo che l’8 marzo vogliono allontanare le elezioni. Quindi non vogliono fare il governo se non c’è chiarezza sulla legge elettorale e viceversa”.
Come finirà?
“Il braccio di ferro continua. Forse ci sarà un prolungamento del mandato del Parlamento ma non so per quanto tempo. Ora che la proposta di legge greco-ortodossa è stata scartata, i cristiani sono delusi. E sia il partito Kataeb che le Forze Libanesi che l’avevano appoggiata insieme ad altri (gli aounisti e il partito Marada di Sleiman Frangiyeh, n.d.r.), si sono sganciati per salvaguardare il bacino di consensi che deriva dalle altre comunità e dalle loro espressioni politiche”.
Hezbollah ha ammesso di partecipare ai combattimenti in Siria a fianco di Assad. Con quali conseguenze?
“Hezbollah è di fronte a un bivio. Essendo un’emanazione dell’Iran segue i suoi ordini ed è quindi andato a combattere in Siria. Se si fosse comportato saggiamente non lo avrebbe fatto; oltretutto è in difficoltà a livello politico interno per quanto riguarda la formazione del governo. C’è un senso di repulsione in Libano nei confronti di Hezbollah in questo momento. Il Partito di Dio, che in passato è stato determinante contro Israele, non può infatti giustificarsi e convincere i libanesi su questa partecipazione alla guerra in Siria. Che farà ora? Continuerà sfidando tutti e mettendo il Paese in pericolo per soddisfare l’Iran? Non sono ottimista, tutti gli scenari sono aperti e in più non abbiamo un governo”.
Questo scontento della popolazione libanese, lo si può interpretare come un segnale politico?
“Hezbollah ha cominciato a creare perplessità: un conto è se tuo figlio muore nel Sud del Libano occupato da Israele, un altro è se va in Siria, un Paese che è stato in Libano per trent’anni. Il malumore serpeggia; persino due mufti sciiti, Ali Al-Amin e Mohamad Hassan Al-Amin, si sono schierati contro la partecipazione di Hezbollah alla guerra in Siria. E se all’inizio i combattenti di Hezbollah che morivano in Siria venivano seppelliti di nascosto, ora non è più possibile”.
17 maggio 2013