di Emanuela Ulivi 

FIRENZE- Ci sarà una conferenza nelle zone liberate, una costituzione che sarà sottoposta a referendum e un nuovo Parlamento. L’obiettivo dell’opposizione siriana al regime di Bachar al Assad è molto chiaro: “ma dopo la caduta di Assad” precisa Mahmoud Kilani, giornalista e membro del Consiglio Nazionale Siriano – una coalizione di gruppi dell’opposizione nata nell’ottobre del 2011 – intervenuto a Firenze al Forum dei Giornalisti del Mediterraneo.  

Lei sostiene che quello siriano non è un conflitto confessionale, ma le implicazioni sul campo lo sono. Perché allora l’Iran e le monarchie del Golfo sostengano le diverse parti?

“Non è un conflitto ma una guerra di liberazione nazionale –risponde Kilani, che manca dalla Siria da vent’anni- in un Paese che ha una posizione geografica privilegiata: chi ha il potere a Damasco ha le chiavi di tante questioni cruciali della regione, come lo avevano Hafez al Assad e i suoi predecessori. In un conflitto come quello in corso, tutti gli attori connessi alla Siria dovrebbero entrare in gioco: la Turchia, l’Iran, l’Iraq, il Libano, Israele, l’Arabia Saudita, il Qatar, gli Stati Uniti e la Francia. Il loro coinvolgimento all’inizio è stato tiepido ed è diventato più tangibile sei mesi dopo, con la militarizzazione della rivoluzione, iniziata peraltro come una rivolta pacifica. Una parte di questi Paesi sono filorivoluzionari: il Qatar, l’Arabia, la Turchia e, indirettamente, gli USA e la Francia. Avevano ragioni e interessi loro. Dall’altra ci sono la Russia, l’Iran e, indirettamente, l’Iraq. L’Iran, col petrolio, compra le armi per Bashar Assad, mentre la Russia lo copre al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Arabia e Qatar, sunniti, sono contro l’Iran, sciita”. “Anche drusi e cattolici –prosegue Kilani- fanno parte della rivoluzione, non ci sono suddivisioni comunitarie precise. Una parte dei sunniti ancora tace, non tutti sono favorevoli alla rivoluzione; fanno parte dell’alta borghesia, in particolare di Damasco e Aleppo, che non si esprime perché non sa cosa accadrà dopo Assad, anche se è comunque contro la dittatura”.

Molti cristiani sono stati cacciati dai ribelli, perché secondo lei?

“Non è vero. Il regime ha rapito i due vescovi ortodossi di Aleppo. Mai Skaf è un’attrice siriana cristiana ed è stata catturata ieri dalla polizia”.

L’opposizione sembra divisa e anche molti ribelli hanno smesso di combattere perché non c’è coordinamento. Così frammentata può essere una controparte credibile?

“Sul piano politico l’opposizione è divisa sul come fare, non sull’obiettivo. Siamo usciti da una pentola a pressione, da un Paese in cui erano vietate tutte le attività collettive dal 1963: questa non è una scusa ma non si può neanche pretendere. Hanno chiesto ai ‘Friends of Syria’ (il gruppo di Paesi che sostengono l’opposizione siriana; ne fanno parte gli Stati Uniti, Paesi europei e arabi) delle armi sofisticate che non sono state date loro per non ripetere l’esempio della Libia. L’Esercito Libero Siriano è una sigla che raggruppa chiunque voglia farne parte. I gruppi che combattono sono autonomi, anche se si aggregano. L’opposizione invece è politica. Tutti i gruppi combattenti sono pronti a sottoscrivere il loro impegno a sottomettersi, dopo la caduta di Bachar al-Assad, al regime democratico”.

Sta circolando un video che ritrae lo svisceramento di un soldato di Assad. Secondo Human Rights Watch l’autore sarebbe un ribelle. Si tratta di un episodio estremo, ma le violenze ci sono da parte dei ribelli, anche nei confronti dei civili. Che cosa hanno a che vedere con la rivoluzione contro una dittatura?

“Niente. Tutti hanno condannato l’episodio ed hanno condannato l’aver fatto il video. Noi non siamo andati nelle piazze a chiedere vendetta né per prendere il Paese. Questa si chiama la rivoluzione della dignità e della libertà. E la vogliamo. Faremo di tutto perché questo fatto non si ripeta”. Lakhdar Brahimi è il mediatore di un dialogo che non é ancora arrivato al risultato atteso. Almeno finora. E’ solo perché le parti sono inflessibili? “No, è perché le parti non hanno ancora il semaforo verde dagli Usa e dalla Russia. Brahimi è in carica perché alla fine dovrà escogitare la soluzione”.

Che cosa si aspetta dall’accordo USA-Russia e dalla prossima conferenza di giugno: se le parti non hanno accettato finora la decisione di Ginevra del giugno 2012, perché dovrebbero accettarla ora?

“Dal 2012 ad oggi 100.000 chilometri sono fuori dal controllo di Assad, così come non ha il controllo di alcun aeroporto civile; nessuna strada internazionale è attiva, così le linee logistiche dell’esercito. Accetteranno la soluzione politica perché la via militare non è mai quella decisiva. Tutte le opposizioni si siederanno insieme a Ginevra quando sapranno che Assad non è più al potere in Siria. E neanche il governo di transizione non deve avere Assad a capo”.

17 maggio 2013

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