Giulia Brugnolini
Omar Salah Omran: è il nome del ragazzino di dodici anni che vendeva patate dolci con un carretto nelle periferie del Cairo e che entrerà nell’iconografia dei martiri del Nord Africa, come Mohammed Bouazizi, il giovane tunisino che si diede fuoco il 17 dicembre del 2010, diventato il simbolo delle rivoluzioni arabe, come lui un ambulante. Tre settimane fa è stato ucciso con due colpi al cuore da un soldato egiziano che sorvegliava l’ambasciata statunitense al Cairo, vicino a piazza Tahrir, dove era in corso l’ennesima manifestazione contro il governo dei Fratelli Musulmani. L’esercito si è scusato per quello che ha definito un “incidente”, dopo che un gruppo di attivisti cercando altri manifestanti si è trovato di fronte al cadavere del ragazzino nell’obitorio di un ospedale del Cairo e ha denunciato le forze militari per aver nascosto il fatto.
”Omar Salah è l’icona di quella piccola massa di ragazzini, uomini e anche donne che sono stati presenti a Tahrir forse più degli stessi attivisti”, ha commentato la giornalista Paola Caridi dal suo blog. “Ai dimostranti, ai poliziotti che li hanno picchiati hanno dato da mangiare. Ai turisti della rivoluzione hanno venduto gadget e magliette, adesivi e sciarpe. Omar e i suoi fratelli sono stati considerati come parte della scenografia, come comparse senza alcun peso nel corso degli ultimi due anni a Tahrir”.Sono invece quegli Arabi invisibili ai quali la Caridi ha dato un nome e un volto sollevando il velo del pregiudizio calato dopo l’11 settembre 2001, nel libro uscito nel 2007 e che ora titolano il suo blog: “Se dovessi scrivere un seguito di Arabi Invisibili – scrive la Caridi - parlerei delle periferie. Che non significa solo o soprattutto povertà. Né solo o soprattutto marginalità. Significa, per esempio, frammentazione sociale, decostruzione e ricostruzione di reti di rapporti e di sistemi di valori, nuove comunità che costruiscono proprie regole interne.”
Dopo il ritrovamento di Omar la popolazione ha organizzato un grande funerale e dipinto il suo volto su uno dei muri della periferia che abitava e in cui vendeva patate per mantenere il resto della famiglia. Gli attivisti adesso chiedono che il responsabile dell’omicidio sia perseguito da una magistratura che sia ritenuta credibile da tutti, per evitare che si creino sacche di immunità come nei casi dei reati compiuti dalle forze dell’ordine e dall’esercito. L’omicidio di Omar riporta al centro dell’attenzione pubblica le richieste prioritarie di piazza Tahrir durante la rivoluzione: pane, dignità, lavoro, diritti sindacali. Che dopo il cambiamento di governo sembrano essere state accantonate.
10 marzo 2013