Giulia Brugnolini 

Si è svolta a  Doha la diciottesima Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici che ha disatteso l’obiettivo di dare una svolta significativa alle iniziative contro il riscaldamento climatico. Nonostante la scelta significativa del posto -la capitale del Paese con l’impronta ecologica (quella che, calcolata in ettari, determina la superficie di terra che un Paese o un individuo consuma senza rigenerare) più pesante dopo gli Emirati -il Palazzo di Vetro ha tradito le speranze.

Dopo due settimane di negoziati e le manifestazioni degli ambientalisti, neanche un giorno di ritardo nella conclusione dei lavori è stato sufficiente a raggiungere un accordo vincolante per tutte le nazioni, il cosiddetto “Kyoto 2”, un nuovo protocollo globale da firmare entro il 2015 che impegnerà gli stati a tagliare le emissioni di gas effetto serra (GES) entro il 2020 per fermare l’aumento di temperatura a 2 gradi, livello considerato dagli scienziati il punto di non ritorno. Dalla Conferenza è invece uscito il poco ambizioso “Doha Climate Gateway”, il percorso che guiderà la transizione verso un eventuale protocollo globale da sottoscrivere entro il 2015, per essere poi operativo dal 2020, sottoscritto da Unione Europea, Svizzera, Norvegia e Australia (quest’ultima afflitta da una siccità che dura da oltre otto anni, la più grave a memoria d’uomo). Ma al quale la Cina -che da sola contribuisce per il 29% alle emissioni globali-, gli Usa, il Canada, il Giappone, la Russia e la Nuova Zelanda non hanno aderito.

Ancora una volta uno dei punti più controversi è stata la distanza tra i Paesi dei cosiddetti Primo e Terzo mondo. Nel trattato di Cancun del 2010 e’ scritto infatti che si devono ''ridurre le perdite ed i danni associati al cambiamento climatico'', clausola che secondo l'interpretazione dei Paesi poveri chiama i Paesi ricchi a assumere impegni onerosi di risarcimento in denaro e che viceversa, proprio questa assunzione di responsabilità spaventa i Paesi sviluppati spingendoli a non sottoscrivere nuovi accordi.

La Corniche, la principale baia di Doha è stata, in quest’occasione, teatro di un’inedita manifestazione di migliaia di attivisti provenienti da Paesi come Emirati Arabi Uniti, Iraq, Oman, Egitto, Bahrein e Libia per chiedere a gran voce la riduzione delle emissioni di CO2 entro il 2020. Il Primo Ministro del Qatar, Abdullah bin Hamad al-Attiyah che ha presieduto alla conferenza aveva invitato le Ong a far sentire la loro voce e a manifestare per chiedere un impegno concreto verso il taglio dei gas ad effetto serra soprattutto da parte dei nuovi Paesi inquinanti quali Cina, India e Brasile.
 
18 dicembre 2012

Vai all'inizio della pagina