Emanuela Ulivi
Papa Benedetto XVI atterrerà oggi per la prima volta in Libano, quindici anni dopo il viaggio del suo predecessore Giovanni Paolo II, atteso da tutto il Medio Oriente. Sul tappeto infatti non troverà solo il tema della riconciliazione che assilla endemicamente il sistema libanese basato sul confessionalismo. Altre domande aspettano una sua risposta, un suo pronunciamento per quanto riflesso dal linguaggio della fede, sulla situazione dei cristiani in medioriente, la rivolta in Siria, il conflitto israelo-palestinese. Lo attende una regione in cui la primavera araba ha rimescolato le carte rispetto al Sinodo convocato a Roma nell’ottobre 2010 dedicato al Medio Oriente, da cui è scaturita l’Esortazione apostolica, che firmerà oggi a Beirut, riprendendone i temi di fondo.
Che riguardavano il dialogo con l’Islam; la lotta al fondamentalismo e alla violenza in nome della religione, promuovendo la nozione di cittadinanza, l’uguaglianza dei diritti e dei doveri, la libertà di pensiero e di coscienza; il dialogo interreligioso; i rifugiati palestinesi, lo stato di Gerusalemme e dei luoghi santi; il dialogo tra cattolici, ortodossi e protestanti; i martiri della fede; i cristiani della diaspora; la terra e l’emigrazione; la trasparenza finanziaria; gli immigrati cristiani e non, la loro dignità e i loro diritti; l’importanza e l’uso della lingua araba; il rifiuto dell’antisemitismo, incoraggiando l’approfondimento e la conoscenza dell’ebraismo. Il papa verrà a parlare di pace e di dialogo, “non ci si può rassegnare alla violenza ed all’esasperazione delle tensioni” ha detto domenica scorsa all’Angelus annnunciando il suo “viaggio apostolico in Libano, e per estensione nel Medio Oriente nel suo insieme”. E poiché da quelle parti il confine tra religione e politica è spesso sottile, a volte inesistente, le sue parole avranno per forza di cose valenza più ampia.Il Libano “Paese messaggio”, secondo la definizione di Giovanni Paolo II, se per un verso è la culla della convivenza tra le 18 confessioni religiose, dall’altra ha visto dimagrire i ranghi dei cristiani che debbono fondamentalmente il loro peso politico all’equilibrio tra cristiani e musulmani sancito dalla Costituzione, continuamente alle prese coi tentativi di ridimensionamento.
Col loro 40%, i cristiani di tutte le confessioni (maroniti, melchiti, armeni, caldei, siriaci, copti e latini) rappresentano sì la porzione più grande della popolazione rispetto agli altri Paesi della regione, ma sarebbe sufficiente una legge elettorale di parte a rimettere in discussione il loro ruolo pubblico. Il papa incontrerà, dopo le più alte cariche dello stato libanese, i capi delle comunità musulmane che in preparazione alla visita hanno vegliato pregando insieme ai cristiani, a ribadire la specificità del Libano. Su un altro piano, anche Hezbollah -come Amal- si è detto pronto ad accogliere il papa come portatore di un messaggio di pace. E’ lo stesso Partito di Dio che, stando a quanto dichiarato pochi giorni fa da fonti iraniane, sarà il primo a rispondere se Israele attaccherà l’Iran,ovvero per conto terzi. E se Israele attaccherá la Siria, ha chiosato l’alleato cristiano Michel Aoun, “se (Hezbollah) e’ intelligente”.
Le ripercussioni in Libano di quanto sta accadendo in Siria, si sono già fatte sentire suscitando la paura concreta di un coinvolgimento diretto nella guerra civile in corso al confine, dal quale continuano a filtrare i rifugiati. Sequestri, controsequestri, bombardamenti, un ex ministro arrestato con l’accusa di preparare attentati terroristici per conto della Siria, sono le avvisaglie di turbolenze interne che riportano alla mente gli inizi della guerra civile libanese. Le gerarchie cristiane mediorientali, pur condannando le violenze, temono sostanzialmente che la fine del regime di Bashar al-Assad e con lui della tolleranza della quale hanno goduto tutti finora, lasci spazio agli integralisti islamici.
Ben lontano dal vedere la fine e cavalcata –qui come altrove- da gruppi fondamentalisti come i salafiti, la rivolta in Siria è in continua evoluzione ed è difficile prevedere che piega prenderà. Del resto, se l’avanzare del radicalismo islamico preoccupava da tempo il clero mediorientale, il rischio che con le rivolte arabe -la cui parabola politica non è ancora compiuta-si affermino regimi o si affaccino movimenti più o meno intolleranti verso le minoranze cristiane favoriti dal caos e dal vuoto politico, fa temere queste comunità nate peraltro in Medio Oriente, per la loro sopravvivenza: dall’Iraq alla Siria. Avanzamento che non vuol dire – o potrebbe non voler dire soltanto- persecuzioni e cacciate ma che ad esempio come in Libano, può manifestarsi attraverso lo spossessamento del territorio sottratto col semplice acquisto di beni fondiari, spezzando il legame tra una comunità e il “suo” territorio. A giorni, il 27 settembre prossimo, il presidente Mahmoud Abbas chiederà all’Assemblea dell’ONU di ammettere la Palestina come stato non membro. A chi aspetta risposte precise su temi specifici, hanno precisato che il papa non va in Libano come fosse un potente capo politico. Ha parlato invece, nell’udienza di mercoledí scorso, di “pace in Medio Oriente nel rispetto delle legittime differenze”.Ad attenderlo anche le domande graffianti sui temi piu caldi e le considerazioni sul confessionalismo libanese che impedisce al suo Paese di essere una vera repubblica democratica, lanciate dalla scrittrice e giornalista Joumana Haddad nella sua lettera al papa sul sito Nowlebanon. “Pax vobis” dirà il papa al Medioriente della primavera araba, non ancora arrivata a fioritura e che non puô comunque perdere questa occasione.
14 settembre 2012