Emanuela Ulivi
"Ho scoperto l’anno scorso in Qatar, durante l’inaugurazione del museo d’arte islamica di Doha e della mostra che l’accompagnava, dedicata al dialogo delle culture, un’opera singolare. Si tratta di una madonna dipinta da Gentile da Fabriano, un artista italiano del Quattrocento. L’opera è di eccellente fattura e meritava chiaramente di essere sottoposta all’attenzione dei visitatori. Ma come spiegare che era stata scelta per illustrare la tematica del dialogo? Per rispondere a questa domanda, bastava avvicinarsi all’opera di da Fabriano. La Vergine, si stenta a crederci, aveva sul suo abito delle scritture coraniche. Tanta la gente che passava lì davanti, insieme a personalità di primissimo piano tra le quali il presidente siriano Bachar el-Assad, lo sceicco Hamad Ben Issa, emiro del Bahrein, o ancora l’attore Robert De Niro... La Madonna da Fabriano non è stata canonizzata e senza dubbio non può essere annoverata nella famiglia delle icone. Salvo se la sua riscoperta attraverso questa mostra in Qatar farà convergere ora verso di lei le nostre preghiere in favore di una convivenza universale". Con queste parole Ghassan Tueni, giornalista e politico libanese, morto l’8 giugno scorso all’età di 86 anni, comincia il libro uscito nel 2009 "Sotterrare l’odio e la vendetta", tornando ad una costante, la convivenza, pilastro e speranza per il suo Paese e oltre.
Tueni, il giornalista dopo il quale c’è chi ha titolato "Il giornalismo è morto"- e il politico, voce alta di un Paese icona reale e virtuale delle guerre e delle paci della regione, per questo vulnerabile e perennemente in fieri. In cerca di punti fermi, di persone nelle quali identificarsi. Tueni era una di queste, avendo mescolato la propria vicenda, non solo pubblica, con le battaglie per la libertà e la sovranità del Libano, stagione dopo stagione.
A 22 anni Ghassan Tueni prese in mano le redini di An-Nahar, il giornale fondato da suo padre, protagonista della Nahda (La Rinascita araba) e dell’editoria, ambasciatore in America Latina. Sulle sue orme, Ghassan Tueni rappresenterá il suo Paese in Grecia e poi all’ONU dal 1977 al 1982, dove pronuncerà il 17 marzo 1978 il celebre discorso "Lasciate vivere il mio popolo" e sarà tra i promotori della risoluzione 425 che imponeva il ritiro delle truppe israeliane dal Libano. In piena guerra civile, Tueni solleva il velo sui retroscena e sulla natura di quel conflitto in "Une guerre pour les autres", del 1985. Venti anni dopo, nella postfazione al testo metteva un punto interrogativo ad una eventuale "pace per gli altri". Non una moneta di scambio, ma quella attraverso la quale il Libano "deve assumere un ruolo, deve posizionarsi geograficamente e politicamente chez les autres". Disinnescando l’alleanza di fatto tra la Siria e Israele che si spartiscono il Libano, tanto la terra che gli uomini." "La sublime speranza – aggiungeva Tueni - potrebbe annunciarsi così: finito il Libano-teatro, viene il momento di liberare l’ostaggio plurimo che siamo diventati. Questo si chiamerà, se si vuole, la nuova Indipendenza. Essa dovrà, perché sia possibile, essere realizzata dai libanesi e solo dai libanesi, e per tutti loro. Insieme".
Si chiamerà proprio Indipendence ’05 il movimento della Rivoluzione dei Cedri, che avrà suo figlio Gebran, il figlio di Tueni, tra i protagonisti di spicco tanto in piazza che dalle colonne di An-Nahar. Una rivoluzione attraverso la quale per certi versi il Libano riscattava quell’impotenza dei Paesi arabi nel prendere in mano le proprie sorti, per colpe proprie e non, dibattuta da Ghassan Tueni nel 2003 in "Un siècle pour rien". Che fa tornare in mente le "Considérations sur le malheur arabe" del 2004 e il successivo "Liban: un printemps inachevé" di Samir Kassir, storico e giornalista di Nahar, assassinato anche lui da un’autobomba nel 2005, sei mesi prima di Gebran.
Davanti alla bara del figlio, gli occhi di Ghassan Tueni che bucano lo sguardo e gli avvenimenti, indicano un’altra dimensione: "Oggi vorrei che gli odi e le parole che dividono fossero sotterrate insieme a Gebran – ha detto - Non ricorro né alla vendetta né al rancore, né al sangue. Vorrei al contrario che riprendessimo con una voce sola quel giuramento ch’egli aveva lanciato in piazza dei Martiri il giorno dell’Intifada 2005, della quale è vittima: faccio appello a tutti i libanesi, cristiani e musulmani, a restare uniti al servizio del Libano, questa grande patria, e al servizio della causa araba."
Perso l’ultimo figlio rimasto, Ghassan Tueni tornò –dopo esser stato per cinquant’anni dietro quella scrivania, fino al 1999- a dirigere il giornale An-Nahar e deputato in Parlamento, dove era entrato per la prima volta a 25 anni, lasciando in seguito alla nipote Nayla sia la direzione del giornale che il seggio in Parlamento.
Il giornale An-Nahar continua, con le sue battaglie. Tueni se n’è andato, alla vigilia della ripresa del Dialogo Nazionale che riunisce allo stesso tavolo le forze politiche libanesi finora incapaci di un minimo risultato concreto, sia sulla questione scottante delle armi di Hezbollah che sulla Siria, un vicino che potrebbe in ogni momento risucchiare il Libano nei suoi rivolgimenti.
Ghassan Tueni mancherà oltre confine al mondo dell’informazione e in tutti quei luoghi in cui si accende il dialogo, come ai meeting per la pace della Comunità di S. Egidio.
Alcune morti portano via con sé un’epoca e questo vale per Ghassan Tueni, scrive Michael Young sul Daily Star. "Molti libanesi di primo piano sono morti negli ultimi anni, tra questi il figlio di Tueni, Gebran. Lo stesso Ghassan è stato malato per anni, il suo fisico minato, la sua vitalità che si affievoliva lentamente e la sua coscienza sempre meno pronta. Tuttavia, in questo momento della nostra storia nazionale, la sua morte sembra il messaggio di una conclusione terribile, solleva l’inquietante sensazione che il Libano sia solo mentre si dirige verso un futuro indefinito. Nei momenti più bui, i libanesi hanno sempre la possibilità di rifugiarsi nel loro passato romantico per attingere forza. Ma questo esercizio poco apprezzato funziona quando quelli che incarnano il passato sono ancora tra di noi. Ghassan Tueni non c’è più. Uno degli ultimi ad andarsene, ci lascia sospesi in un inferno cercando di trovare una parte di noi stessi nelle vecchie fotografie".
Forse una figura leggendaria, come l’ha definita Saad Hariri; voce libera e patriota lo hanno pianto molti personaggi della stampa e della politica. Pure in assenza, Ghassan Tueni costringe a riflettere.
Quando ancora era permesso, fumava molto anche in aereo senza toccare cibo, leggeva e stropicciava giornali per tutto il tempo: era Ghassan Tueni.
18 Giugno 2012