Emanuela Ulivi
Due attori in tribunale per oltraggio al pudore e due attivisti imprigionati per aver “imbrattato” un edificio pubblico con dei graffiti a sostegno della rivolta in Siria, si sono spartiti le pagine di cronaca alla fine di aprile e a diverso titolo hanno di nuovo innescato la reazione dell’opinione pubblica libanese contro le minacce alla libertà di espressione.
“La commedia non è un crimine” hanno rimarcato i manifestanti fuori dal tribunale il 25 aprile scorso durante l’udienza d’appello dei due giovani attori Edmond Haddad e Rawya al-Shab condannati nel novembre 2011 a un mese di prigione e ad una multa di 200.000 lire libanesi per uno spettacolo di ben due anni prima che, pur di beneficenza, aveva fatto inarcare il sopracciglio di un anonimo censore. Neanche presente alla performance, ma che aveva letto su Nahar ech-Chabab (il supplemento per i giovani del quotidiano An Nahar) il resoconto della serata ripreso dall’articolo di uno dei tanti giornalisti presenti allo spettacolo di burlesque. La stand-up comedy dei due attori allo Snatch di Gemmaiyzeh, a Beirut due giorni prima di Natale, accompagnata da un’umoristica vendita all’asta di uomini con fuggevole affaccio di mutanda maschile rubata a Superman, non gli era andata giù. E nonostante fossero stati raccolti circa 4.000 dollari per l’associazione Brave Heart Fund che si occupa di bambini cardiopatici, i sorrisetti sulla denuncia si sono spenti di fronte all’articolo 532 del codice penale libanese evocato dai giudici, che sanziona l’umorismo, la terminologia e i gesti indecenti sulla scena. Sentenza vissuta dai libanesi, al di là della libertà individuale, anche come la negazione di un modo di essere e di una cultura aperti che caratterizzano l’identità prediletta del Paese. Il 30 maggio la prossima udienza, dopo il rinvio del tribunale, di quello che è stato definito l’affaire delle mutande di Superman.
La paura di derive antilibertarie, è concreta. La censura che di quando in quando si rimette al lavoro per un motivo o per l’altro, i negozi e i ristoranti nei quali si vendono o si servono alcolici saltati in aria in certe regioni, non sembrano rigurgiti di un certo moralismo o sussulti integralisti. Sono segnali di una messa in discussione della libertà di espressione, della facoltà di esprimersi e di dissentire. Anche e soprattutto in politica: dall’appoggio alla rivolta in Siria alla possibilità di fare democraticamente opposizione in patria. Gli attentati, pur non andati a segno, al segretario delle Forze Libanesi Samir Geagea e a Samy Gemayel, entrambi esponenti di spicco dell’opposizione in Parlamento, il cameraman della tv al-Jadeed, Ali Chaabane, ucciso dall’esercito siriano al confine, le intimidazioni ai giornalisti, indicano l’aria che tira in questo momento. La Siria, che ha occupato il Libano per ventinove anni ma continua a influenzarne la vita politica, rimane infatti il fattore determinante. Nonostante la neutralità del Libano - governato da una coalizione “monocolore” della quale fa parte Hezbollah, amico della Siria- rispetto alla rivolta contro il regime di Bachar el-Assad per non destabilizzare gli equilibri interni, posizione salutata come saggia dalla comunità internazionale, è difficile rimanere equidistanti di fronte al susseguirsi dei massacri.
Avevano disegnato dei graffiti e delle frasi in appoggio alla rivolta siriana i due blogger Ali Fakhry e Khodr Salameh, arrestati a Beirut la notte del 21 aprile dalla polizia militare, pur non essendoci in Libano una legge che li vieta. Stessa prontezza dispiegata nei confronti dell’artista Semaan Khawam, sorpreso a febbraio con lo spray in mano mentre disegnava un soldato con un fucile in mano su un muro, per non dimenticare la guerra civile: dimenticando lui stesso di non toccare certi argomenti. I blogger sono stati rilasciati il giorno successivo sull’onda della protesta sollevata dall’opinione pubblica. Skeyes, l’associazione che con gli occhi di Samir Kassir -giornalista e storico convinto che la rivoluzione dei Cedri potesse essere un esempio per i popoli della regione, ucciso nel 2005- vigila sulla libertà di espressione, ha denunciato anche le violenze da parte delle forze di sicurezza su giornalisti e fotografi nella manifestazione in appoggio ai due blogger, addebitando alle autorità politiche e giudiziarie la responsabilità del restringersi delle libertà collettive e individuali in Libano.
Il 26 aprile, tolte alcune manifestazioni studentesche, è stato celebrato il settimo anniversario del ritiro delle truppe siriane dal Libano, quasi sotto silenzio.
5 Maggio 2012