Giulia Brugnolini 

Fallimento o work in progress? Molto resta da fare ma “la rivoluzione nei Paesi arabi impone un cambiamento di rotta anche per l’Europa e in particolare per Paesi, come l’Italia, che non possono più assistere in modo acritico come in passato, a ciò che accade ad opera dei popoli dell’altra sponda del Mediterraneo” ha ammonito Alberto Tonini, presidente del Forum per i Problemi della Pace e della Guerra che insieme al EU as Global-Regional Actor in Security and Peace ha promosso il 28 gennaio scorso un workshop in Palazzo Vecchio cui hanno preso parte, oltre all’assessore all’Università del Comune di Firenze Cristina Giachi, Sonia Lucarelli, Renzo Guolo, la giornalista Lucia Goracci, Ruth Hanau-Santini della Johns Hopkins University di Bologna, Valeria Biagiotti per il Ministero degli Affari Esteri, Augusto Valeriani e Rodolfo Ragionieri.

Un anno fa le prime manifestazioni a piazza Tahrir, la piazza egiziana simbolo del susseguirsi di rivolte negli stati del Nord Africa, del Medio Oriente e del Golfo, che i media hanno uniformato sotto il nome di Primavera Araba, echeggiando un’altra Primavera, quella di Praga. Come Jan Palach nel 1969, il 17 dicembre 2010 a Sidi Bouziz, in Tunisia, e’ stato il giovane Mohamed Bouazizi a darsi fuoco. “Più niente è impossibile dopo che tu hai indicato la strada col tuo corpo, che continua a bruciare come una torcia luminosa nello spirito dei popoli” ha scritto il romanziere e giornalista yemenita Ahmad Zein nella sua lettera a Bouazizi, quale incipit di un nuovo capitolo per i Paesi arabi. E come un fuoco la rivolta e’ dilagata, con reazioni piu’ o meno violente da parte dei regimi e, soprattutto, esiti ancora da definire. Dopo la caduta dei regimi di Ben Alì, di Mubarak, entrambi al potere da un trentennio, di quello di Gheddafi con l’intervento militare internazionale, sull’onda di un risveglio arabo seguito ad anni di rassegnazione, di baratto della propria libertà in cambio di promesse propagandate dalle oligarchie al potere lasciando milioni di giovani laureati e non senza lavoro né futuro che si sono messi alla testa della rivolta, con le donne in prima fila, le varie primavere sono ancora incompiute. Se non ancora in corso, come in Siria dove neanche l’Onu sembra capace di accordarsi per un intervento.

Il percorso verso la democrazia si sta mostrando tortuoso, con pericoli di involuzione come dimostra l’episodio della “ragazza dal reggiseno blu” pestata dalla polizia durante una manifestazione al Cairo contro un regime militare che fatica a passare la mano all’amministrazione civile. 

Ma sarebbe un errore, ha messo in guardia Cristina Giachi, cedere a banalizzazioni e semplificazioni. Come quella di pensare alla costruzione di queste nuove democrazie ricalcando i modelli occidentali. Un processo, quello avviato nei Paesi arabi, che richiede tempo e soprattutto un’analisi attenta. Dopo le elezioni in Tunisia e in Egitto, la stampa occidentale ha frettolosamente parlato infatti di “rivoluzione tradita”, interpretando in questo modo la vittoria da parte dei partiti di ispirazione islamica come i Fratelli Musulmani, a scapito dei gruppi che un anno fa avevano fatto da detonatore al cambiamento guidato dai giovani delle piazze facendo sognare il mondo arabo. E’ mancata, ha osservato Guolo, l’organizzazione politica nella fase di passaggio dalle piazze alle urne. Tunisia, Egitto, Libia, dove e’ stato spodestato il dittatore al potere, non hanno avuto il tempo materiale di organizzare un percorso democratico ed e’ stato sintomatico che organizzazioni partitiche rimaste all’opposizione per lunghi anni come ad esempio En-Nahda in Tunisia, guadagnando popolarita’ grazie al cosiddetto “welfare religioso”, abbiano, per cosi’ dire, ereditato la rivolta.

Altrettanto semplicistico sarebbe parlare di pericolo di deriva fondamentalista per il futuro politico-istituzionale dei Paesi in transizione, visto che l’Islam è stato ed è tuttora il comune denominatore nel percorso di emancipazione della società civile dallo strapotere delle elite militari e patrimoniali.  “Quando ho chiesto ad un membro del Consiglio Nazionale di Transizione libico se avrebbero proibito l’alcol –ha riferito Lucia Goracci, inviata del TG3 sul fronte delle rivolte- lui ha risposto: una media di duemila cittadini consumano alcool mentre oltre due milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile. Secondo lei in assemblea di cosa ci preoccuperemo?” Il connubio tra Islam e modernità è possibile, ha ribadito Tonini, non senza rimarcare che si tratta di una sfida.

Una cosa e’ ormai certa: se da un lato l’Unione Europea ha accolto positivamente i cambiamenti di regime, come ha sottolineato Ruth-Hanau Santini, non ci si puo’ preoccupare di cio’ che avviene dall’altra parte del Mediterraneo solo se gli immigrati scappano in massa dai loro Paesi e sbarcano a Lampedusa. Questa stagione araba deve essere un’occasione per l’Europa per sostenere i movimenti e le societa’ civili dei vari Paesi arabi, sapendo che la democrazia non si costruisce dall’oggi al domani. E’ come un aquilone –da qui il logo del convegno-, simbolo di una libertà non assoluta, che necessita di sforzo e di fili resistenti. Di aquiloni ce ne possono essere di tanti colori e forme, ma ciò non toglie che tutti possano volare allo stesso modo.

8 Febbraio 2012

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