Giulia Brugnolini 

In un Paese in cui solo il trentun percento delle bambine è iscritto alle scuole elementari il premio nobel conferito lo scorso 7 ottobre all’attivista yemenita Tawakkul Karman è un fiore nato nel cemento, proprio come quelli sul suo hijab rosso. La sua battaglia non violenta “a favore della sicurezza delle donne e del loro diritto alla piena partecipazione nell'opera di costruzione della pace” ha reso degna di un premio così significativo la trentaduenne di Ta’izz, città dello Yemen del Nord, madre di tre bambini e membro di Al-Islah, principale partito di opposizione.

Le minacce fisiche e psicologiche e i tentativi di corruzione da parte delle autorità yemenite, poi i due arresti, l’ultimo a marzo di quest’anno, non hanno spento la determinazione della fondatrice del movimento Ṣaḥafiyyāt bilā quyūd, Giornaliste senza Catene – nato nel 2005 per promuovere la tutela della libertà di pensiero in uno Stato in cui l’informazione è quasi del tutto canalizzata dal Ministero dell’Informazione. È la stessa libertà di pensiero della Karman che ha ispirato centinaia di studenti a prendere parte ai numerosi sit-in da lei organizzati negli ultimi tre anni in Piazza della Libertà a Ṣanʿāʾ, di fronte all'edificio del Governo, fino a sfociare nel giorno della collera del 3 febbraio e nella successiva manifestazione del 17 marzo per chiedere la definitiva dipartita del ministro Ali Abdullah Saleh, costatale la prigione. La sua volontà di non subire ma cavalcare l’onda del cambiamento in un momento chiave per il popolo yemenita non si è tradotta solo in gesti simbolici, come quello di sostituire il niqab –il velo tradizionale che copre l’intero corpo ad eccezione degli occhi- con il hijab che le libera il viso, o quello di accamparsi in una tenda di fortuna in Piazza Tagheer San’a in segno di protesta. Ma anche in un articolo di denuncia sul New York Times, dal titolo “La rivoluzione incompiuta dello Yemen” in cui attacca il governo statunitense e quello saudita accusandoli di appoggiare il  regime di Saleh –chiamato da lei “corrotto"- e di finanziare le strutture delegate alla sicurezza dello Yemen, quali le Forze Centrali di Sicurezza, l'Agenzia Nazionale di Sicurezza e la Guardia Repubblicana, tutte sotto il diretto controllo della famiglia del dittatore Alì, che, con la scusa di contrastare il terrorismo, da anni violano i più elementari diritti umani.

Ciò nonostante la Karman, che si è opposta persino ai vertici del suo partito che volevano bloccare la legge contro le spose bambine – poi approvata- non è avvezza alle formalità: “Sono venuta a sapere di aver vinto il Nobel tramite la BBC e Al Jazeera” ha dichiarato. Ma i venti di rivolta hanno sparso i semi di un fiore raro che adesso non è più solo. Migliaia di attiviste, studentesse, madri, le stesse che hanno dormito con Tawakkul Karman in piazza Tagheer incuranti del coprifuoco per le donne, hanno festeggiato il premio Nobel nella sua città natale, rischiando la loro incolumità dopo l’ aggressione da parte dei sostenitori del governo che con pietre e bastoni hanno ferito quasi quaranta manifestanti. Tawakkul Karman, il volto femminile della rivolta yemenita, quello in cui la lotta per i diritti civili e quella per i diritti delle donne ha un unico comun denominatore, è nata lo stesso anno del regime di Saleh. Tutto fa pensare che gli sopravviverà.

19 Ottobre 2011

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