Giulia Brugnolini
Il quadro presentato da Richard Falk -inviato speciale dell'Onu per i diritti umani nei Territori Occupati e professore di diritto internazionale all’Università di Princeton- venerdì scorso al Palazzo di Vetro non sembra lasciare spazio ad ingenui ottimismi. Mentre l’organizzazione Americans for Peace Now mette a punto l’applicazione per I phone che monitora gli insediamenti israeliani sul territorio palestinese, l’avvio della costruzione di Rawabi, città Palestinese nel West Bank subisce uno stop.
L’inviato ha esposto all’Onu una preoccupante relazione sullo stato dei negoziati tra Israele e Olp. Dal 1967, anno che istituiva un’occupazione temporanea e reversibile, una serie di contraddizioni e false speranze si sono susseguite nella questione israelo-palestinese. L’ultima data chiave è il 26 settembre, scadenza della limitata moratoria del governo Netanyahu dopo la quale è stata avviata la costruzione di circa 600 case nei 140 insediamenti israeliani nei territori occupati.
“Lo Stato palestinese appare una soluzione sempre più problematica poiché richiede una sostanziale inversione del processo di colonizzazione”, ha spiegato Falk, aggiungendo che “l'allargamento della presenza ebraica a Gerusalemme Est attraverso la costruzione di insediamenti illegali, demolizioni di case (arabe) e la revoca del diritto di residenza ai palestinesi, rende sempre più arduo immaginare che Gerusalemme Est possa diventare la capitale dello Stato palestinese”. Il processo negoziale, a suo avviso, non ha come finalità la creazione di uno stato palestinese secondo la formula “due popoli, due stati” ma piuttosto rappresenta la volontà israeliana di veder riconosciuta l’annessione dei nuovi territori dalla comunità internazionale. L’ex presidente americano Jimmy Carter, che già aveva definito la condizione dei Palestinesi a Gaza come prigionieri di una gabbia, si unisce al coro delle proteste, in una visita alla regione.
La città sulla collina -la traduzione dell’arabo Rawabi- ha assunto ormai connotati utopici. A pochi chilometri da Ramallah, nel cuore del West Bank, è stata concepita una città «moderna, razionale, tecnologica» destinata a soddisfare le esigenze delle giovani coppie palestinesi per un totale di 40mila persone. Nonostante sia già pronto il progetto, il rendering e persino i prezzi, il Ministro dell’Ambiente israeliano Gilad Erdan Likud ha revocato la sua autorizzazione per chiedere un’approfondita analisi sull’impatto che le costruzioni avranno sull’ambiente. Abir Kubty, un portavoce dell’Autorità nazionale palestinese, ha interpretato questa presa di posizione in termini politici, dicendosi indignato per l’ingerenza israeliana in questioni palestinesi. La criticità della collocazione di Rawabi è tuttavia innegabile: l’area è sotto l’amministrazione dall’Anp ma le strade che portano in quello che sarà il centro abitato risultano essere sotto il controllo israeliano.
Intanto la creatività tecnologica statunitense sorprende ancora con un’applicazione per i-phone, il telefono di ultima generazione. Si chiama Facts on the Ground ed è un centro di monitoraggio continuo sull’espansione degli insediamenti in Giudea e Samaria che aggiorna l’utente in maniera semplice e intuitiva: una cartina di Google Map coperta di casette blu che, se cliccate, forniscono informazioni su quell’insediamento -nome, anno di costruzione, popolazione, ideologia della maggioranza della popolazione -ultraortodossi o secolarizzati- e quantità di terra “sottratta” ai palestinesi. Debra DeLee, presidente di Americans for Peace Now, l’organizzazione che ha ideato l’applicazione, ha sottolineato come essa mostri – senza filtri – le conseguenze degli insediamenti in Cisgiordania. Disponibile in inglese sia per l’iPhone che per l’iPad, presto sarà disponibile anche in lingua ebraica. La popolazione israeliana, naturalmente, non ha gradito la novità tecnologica.
Non solo dalla sfrontata modernità ma anche da un’istituzione secolare come la Chiesa Cattolica arrivano appelli alla comunità internazionale per porre fine all’insediamento israeliano. Si è conclusa domenica, infatti, l’Assemblea Speciale del sinodo dei vescovi a Roma, iniziata il 10 ottobre, sul tema “La Chiesa cattolica in Medio Oriente: comunione e testimonianza” per analizzare la situazione delle minoranze cattoliche nei paesi a maggioranza musulmana. Il pontefice Benedetto XVI ha espresso la propria solidarietà per il popolo palestinese, affermando che lo stato in cui esso grava favorisce il fondamentalismo. Secondo l’opinione diffusa dei 177 tra cardinali, patriarchi e vescovi, l’esegesi biblica del vecchio testamento –“la terra promessa è tutta la terra”- non giustifica la perpetrazione di reiterate ingiustizie. In particolare l’arcivescovo Bustros, a capo della Commissione che ha redatto il comunicato finale, ha dichiarato che “Il tema della Terra promessa non può essere usato come base per giustificare il ritorno degli ebrei in Israele e l’espulsione dei palestinesi”.
La Storia Biblica sembra ripetersi: di nuovo si parla di “terra promessa” ma stavolta non c’è nessun Dio e nessun popolo in diaspora. Stavolta l’Onu ha promesso una terra a chi già la possedeva e si è visto privare del proprio diritto di cittadino, anche quello di sognare una città in collina.
27 Ottobre 2011