Emanuela Ulivi 

Osama Bin Laden è stato ucciso. Il numero uno del terrorismo mondiale, fondatore di Al Qaeda, la Base, autore degli attentati alle Torri Gemelle di New York e al Pentagono l’11 settembre 2001, è morto ieri durante un blitz delle forze speciali americane in una località, Abbottabad, vicina alla capitale pachistana Islamabad. Il suo corpo è stato portato a bordo di una nave americana, lavato e profumato come prevede il rito musulmano e fatto scivolare nelle acque dell’Oceano Indiano, tomba anche per il suo mito, comunque irraggiungibile.

Il presidente americano Obama ne ha dato personalmente annuncio al popolo americano e al mondo intorno alla mezzanotte di ieri, primo maggio: “Giustizia è fatta”. Consapevole che l’allarme terrorismo ora sarà molto più alto. Negli Usa e nel mondo. Perché una ritorsione è attesa, specie da parte di coloro che hanno definito la morte di Bin Laden “una catastrofe”.

Col passare delle ore emergono i particolari –compreso il fotomontaggio del falso volto di Osama Bin Laden morto diffuso dalla TV pachistana- del blitz e della morte del più famoso terrorista della storia, senza che un solo fotogramma del suo cadavere sia ancora comparso sui media ma col suo DNA già comparato a quello di una sorella scomparsa a Boston anni fa.

Mentre si spegne l’euforia del popolo americano, da oggi rassicurato sulle capacità del proprio Paese e non solo per la giustizia resa alle migliaia di vittime, alla quale ha fatto eco la prontezza delle congratulazioni di capi di stato e di governo nel mondo, pur con un sospiro di sollievo ci si comincia a chiedere da subito quale sarà il day after per il mondo. E quale sia stato il ruolo del Pakistan, alleato degli Usa contro il terrorismo, che in una cittadina nella quale sono ospitate varie caserme, alloggiava in una villetta superblindata il ricercatissimo Osama, il Male: davvero nessuno ne sapeva niente quando dall’agosto scorso gli Usa erano già al corrente che Bin Laden non era più da ricercare in una grotta sperduta delle montagne tra il Pakistan  e l’Afghanistan ma a pochi chilometri dalla capitale? 

Oltre alla reazione e alla paventata scia di attentati ad opera di kamikaze, una volta uscito di scena il capo carismatico di Al Qaeda, resta da catturare una serie di personaggi, in primis Al Zawahiri, di fatto molto più attivi e operativi di Osama Bin Laden. E sarà questa operazione che ha concluso una caccia durata dieci anni, davvero un monito, come ha affermato oggi il presidente afghano Karzai rivolgendosi ai talebani, quando Al Qaeda Maghreb è il principale sospettato di essere dietro all’attentato kamikaze a Marrakech di appena tre giorni fa? Si spegneranno tutti quei fuochi jihadisti, quelle cellule che si sono ispirate, in Europa e nel mondo, ad Al Qaeda, una rete senza vertice e di fatto non sistematicamente collegata, seminando terrore e morte? 

Come  già sottolineato, Al Qaeda ha subito e sta consumando proprio in questi mesi una grande sconfitta politica nelle piazze arabe della rivolta, dove i suoi appelli sono caduti nel vuoto, dove non si sono bruciate le bandiere americane e israeliane, simboli per eccellenza dell’Occidente avversato da Al Qaeda e la jihad non infiamma i cuori, ma si chiede piuttosto libertà e si aprono altri scenari, per quanto incerti.

Dall’altra ci sono Hamas, il cui leader Mashaal ha condannato il blitz americano; ci sono le folle ormai da anni mobilitate dal fondamentalismo islamico e da oggi orfane di una guida carismatica, la cui reazione nessuno può prevedere. E ci sono i vari Paesi in Medio Oriente, nel Golfo e in Africa, nei quali il terrorismo di Al Qaeda è diventato una delle realtà con le quali confrontarsi. “Oggi il mondo è più sicuro” ha affermato il presidente Obama, “lo spero” gli ha fatto eco un cittadino newyorkese. Nessuno è più inafferrabile è il messaggio degli Usa, colpiti da Al Qaeda in quanto simbolo dell’Occidente, eliminando un altro simbolo del terrorismo la cui forza è alimentata dall’emblematicità degli attacchi e dalla risonanza mediatica delle sue stragi. Un simbolo abbattuto, i cui riverberi, per quanto inafferrabili, da oggi non appariranno più vincenti né resteranno impuniti.

2 maggio 2011

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