News analysis di Emanuela Ulivi 

Non molleranno finché non avranno ottenuto lo stesso risultato cui è arrivata la rivolta del popolo tunisino cacciando il capo dello stato Bel Alì alla guida del paese da 23 anni.
Lo stesso chiedono gli egiziani in piazza Tahrir, per costringere il presidente Mubarak, al potere dal 1981,  a seguire la stessa strada, liberando il Paese da un regime autoritario incapace peraltro di soffocare la domanda di libertà e di regole democratiche sulla quale si è concentrato il Movimento del 6 aprile e a cui il ritorno di El Baradei ha ridato se non un’alternativa, quantomeno rinforzo. E a niente è valso il rimpasto di governo con l’indicazione al nuovo ministro dell’interno di fare rapidamente alcune riforme, né la promessa di  cambiare le regole in vista delle elezioni di settembre. Quello che il popolo egiziano vuole –e per il quale manifesta- è ben altro. Chiede un cambio di marcia totale, incoraggiato dalle reazioni internazionali, tra le quali spicca il repentino riposizionamento degli Stati Uniti che senza mezzi termini, a proposito del loro alleato arabo più forte in Medioriente, il presidente egiziano Mubarak, parlano di transizione. Subito. Entro venerdì, chiede la piazza, arco di tempo entro il quale El Baradei ha invitato Mubarak a lasciare la presidenza. Si saprà domani quindi, se per l’Egitto si aprirà una nuova pagina.

Questi giorni dovranno servire anche all’opposizione per articolare una proposta per la quale si dicono pronti –a cominciare dallo stesso ex direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia nucleare- ma che non è ancora sul tappeto. Il fatto che dagli inizi della protesta nelle piazze del Cairo come di Alessandria non siano comparse bandiere di partiti, che i morti siano in preponderanza dei civili, che i blogger e gli internauti abbiano avuto un ruolo fondamentale nel dare respiro e anima alla protesta, non significa che ci sia una visione chiara del futuro. E neanche le parole del presidente siriano Assad intervistato dal Wall Street Journal su una “nuova era” in Medioriente accompagnata dal consiglio ai governanti arabi di fare di più per venire incontro alle aspirazioni politiche ed economiche della loro gente –parole che per un certo verso controbilanciano chi come Israele teme gli esiti incerti e le possibili derive future- non contribuiscono a delineare un’alternativa concreta, specie nel più importante Paese arabo, l’Egitto.  

E’ stata la parola “dignità”, accompagnata da “libertà”, “diritti”, “democrazia”, per la quale un giovane laureato e disoccupato si è dato fuoco, a far deflagrare la paura di un’intera popolazione e a trasformare in Tunisia una rivolta in rivoluzione contro uno dei regimi autocratici che dal Maghreb al Medioriente si avvicendano sotto le insegne di repubbliche  stranamente dinastiche. Come lo è l’Egitto di Mubarak alle prossime presidenziali valutava se candidare o meno il figlio Gamal
Una rivoluzione anche quella che si sta delineando dal 25 di gennaio in Egitto, che vede i Fratelli Musulmani a fianco della popolazione chiedere la fine di un regime autoritario duro anche verso questo gruppo radicale, senza però –almeno per il momento- avanzare proposte. La voce ora è quella della piazza, in primo piano ci sono le richieste di diritti fondamentali. Forse per questo gli Stati Uniti hanno preferito consumare la rottura con Mubarak chiedendo con voce ferma che la transizione cominci subito, piuttosto che lasciare spazio a chi come Al Qaeda potrebbe cavalcare la protesta.

Una lezione arriva comunque dal Libano, dove l’attentato all’ex premier Rafik Hariri ha provocato nel 2005 la rivoluzione dei cedri che ha costretto la Siria a lasciare il Paese. Le elezioni successive hanno consacrato una nuova maggioranza, ma Hezbollah, pur all’opposizione, ha condizionato l’azione di governo e, specie dopo la guerra con Israele del 2006, si è rafforzato, fino a provocare la recente caduta del governo Hariri. Una rivoluzione inimmaginabile fino a quel momento, una vera sollevazione che peró non ha prodotto gli esiti previsti. Ma ancora instabilitá.

3 febbraio 2011

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