Emanuela Ulivi
C’è grande allerta in Egitto alla vigilia del Natale che i cristiani Copti festeggeranno il 7 gennaio. Si temono nuovi scontri tra la polizia e i cristiani come accade ormai da giorni dopo il sanguinoso attentato di Capodanno alla chiesa di Tutti i Santi di Alessandria. Non è il primo attentato contro i cristiani in Egitto, nonostante il bilancio di 23 morti e un centinaio di feriti sia il più pesante registrato fin’ora. Eppure ha scatenato la reazione di una comunità di fatto discriminata a livello politico e sociale, come dimostrato dalle recenti elezioni parlamentari. La strage di Alessandria segue l’attentato contro i cristiani a Baghdad dello scorso ottobre, legato, secondo il gruppo legato al Al Qaeda che ne ha rivendicato la paternità, alla detenzione forzata in un convento copto in Egitto di due donne convertitesi all’Islam, e accentua il dramma dei cristiani in Medioriente, uccisi, perseguitati e in fuga sotto i colpi del terrorismo e del fondamentalismo.
Non bisogna però cadere nella trappola, ha avvisato Franco Cardini inquadrando l’attentato nell’ambito globale del Vicino Oriente, dove i problemi si intersecano tra di loro, ci sono situazioni irrisolte ormai cronicizzate e dove le minoranze cristiane si vedono accerchiate in Paesi come quelli musulmani nei quali la convivenza era un dato di fatto. Il peggioramento della situazione dopo l’11 settembre 2001 ha visto radicalizzarsi le posizioni e vede all’offensiva una serie di gruppi, anzi gruppuscoli, poco collegati tra loro. “Siamo davanti ad una guerra civile estremamente complessa nei Paesi musulmani -ha sottolineato- che a loro volta si sentono minacciati da una forte pressione occidentale; le avventure militari prima in Afghanistan e poi in Iraq, la mancata soluzione del problema israeliano palestinese hanno esacerbato gli animi”. “In questo contesto –ha aggiunto- non dobbiano cadere nella trappola che ci viene tesa da, direi, opposti fondamentalisti: qui non siamo davanti a uno scontro tra cristiani e musulmani, qui siamo davanti ad uno scontro molto preciso, molto duro e molto pericoloso tra quelle forze, che sono molte anche se purtroppo hanno voce debole, che auspicherebbero una ripresa effettiva del dialogo di pace e quelle forze invece (e qui ci sono i fondamentalisti musulmani da una parte, di vario tipo fino ai terroristi, e ci sono naturalmente forze anche in Occidente) interessate a far creder che il dialogo sia impossibille. La vera lotta e’ tra chi e’ ragionevole, tra chi vuole la pace, tra chi vuole l’incontro e il dialogo e chi intende ostacolare questo incontro e questo dialogo”.
I più consapevoli sembrano esserne proprio gli egiziani, non disponibili a fare del loro Paese un’altra arena di confronto confessionale né ad ospitare il terrorismo. Una conferenza stampa ha visto accanto al patriarca copto Shenouda III il Grande Imam di Al-Azhar Ahmed al-Tayeb. Politici, attivisti, intellettuali, blogger, si sono mossi immediatamente. Un appello ai musulmani a partecipare alla Messa di Natale che il patriarca copto Shenouda III celebrerà regolarmente nella cattedrale di San Marco al Cairo la sera della vigilia, è stato lanciato in segno di solidarietà. I giovani del Partito Nazionale Democratico hanno già annunciato che ci saranno e diverse personalità –una delle quali appartenente ai Fratelli Musulmani- hanno aderito all’iniziativa. Il giorno dopo, i sindacati faranno visita al patriarca per esprimergli la loro condanna dell’attentato. I partiti dell’opposizione hanno anche proposto di celebrare il Natale Copto presso la sede del partito Wafd, contrassegnandolo come il “giorno dell’unità nazionale”. Su indicazione del ministro dell’Istruzione, domenica scorsa le scuole hanno osservato un minuto di silenzio in segno di solidarietà con le vittime di Alessandria e gli insegnanti si sono dilungati sul concetto di unità dell’Egitto e sul terrorismo. Le manifestazioni pacifiche degli studenti universitari e dei docenti al Cairo si sono svolte al canto di “Maometto rimarrà l’amico di Gesù e la Moschea rimarrà accanto alla Chiesa…una croce e una mezzaluna, la mia mano nelle tue, qualunque cosa si dica”.
In gioco c’è l’unità del Paese, che ha costretto ad un brusco esame di coscienza. Sulla laicità e la tolleranza verso una comunità che oggi conta l’8% su una popolazione di 80 milioni, ma è stata parte integrante e fondamentale dell’evoluzione del Paese.
Senza tanti giri di parole, il j’accuse di Hani Shukrallah su Ahram online il primo di gennaio, una scossa contro una deriva in cui non basta più additare questo o quel gruppo terroristico ne’ sono piu’ sufficienti le dichiarazioni di unita’, perche’, riflette Shukrallah, i massacri sono continuati, ogni volta piu’ sanguinosi, mentre il fanatismo e l’intolleranza si stanno diffondendo nel tessuto sociale. Il suo j’accuse non e’ indirizzato ad Al-Qaeda o ad altri gruppi terroristici possibili autori dell’attentato di Alessandria ma al governo, che patteggia con gli islamisti per batterli politicamente, ai parlamentari, alle istituzioni, ai musulmani cosiddetti moderati sempre piu’ conquistati dai pregiudizi, contro quelli che si infuriano per lo stop alla costruzione di un centro islamico vicino a Ground Zero ma applaudono la polizia quando impedisce la costruzione di una scala in una chiesa copta del Cairo, mentre si sentono mormorare frasi contro l’arroganza dei copti che meriterebbero una lezione. Shukrallah si rivolge anche agli intellettuali liberal, tanto musulmani che cristiani, sempre rimasti in disparte limitandosi ad aggiungere le loro voci al coro. Non resta che agire e prendere in mano il proprio destino, conclude, prima che sia troppo tardi.
Dalle colonne di Asharq al-Awsat gli fa eco Tariq Alhomayed invitando gli egiziani a fare un’analisi onesta su se stessi: scopriranno quanto il discorso estremista abbia guadagnato terreno e non basti dire che e’ frutto di interferenze straniere. “Quello che e’ accaduto ad Alessandria invece, e’ il risultato –afferma- di una prolungata azione di distruzione sociale in base alla quale il Paese ha prodotto ogni forma di estremismo”.
5 Gennaio 2011