Per la prima volta il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha chiesto singolarmente ad alcuni stati dell’Unione Europea di riconoscere lo Stato palestinese anche senza un accordo di pace con Israele, dopo che, pochi giorni prima, il consiglio dei ministri degli esteri della stessa UE aveva rinviato il riconoscimento ad un non meglio precisato “momento opportuno”. I negoziati diretti con Israele sono di fatto naufragati sulla questione delle colonie che Israele non intende congelare e a niente sono valse le proposte avanzate dagli Usa. Una delusione per il presidente palestinese, che ha definito la politica del premier Israeliano Nentayahu “intransigente” e gli Usa troppo condiscendenti.
La richiesta di Abbas a Francia, Gran Bretagna, Svezia e Danimarca per un riconoscimento dello Stato palestinese sulla base dei confini del 1967 é stata formulata poche ore dopo che la Camera dei Rappresentanti del Congresso Usa aveva votato una risoluzione che prevede il veto da parte di Washington a qualsiasi proposta di iniziativa da parte dell’Onu che riconosca lo stato palestinese al di fuori di un negoziato diretto con Israele. Decisione da leggere come un chiaro avviso riguardo agli sforzi dell’Anp di ottenere il riconoscimento internazionale, giá arrivato da alcuni stati dell’America latina come Argentina, Brasile, Bolivia e per ultimo Uruguay, disposti a riconoscere uno Stato palestinese entro i confini del ’67. Ma anche fonte di preoccupazione per i Paesi della Lega araba intenzionati, a fronte dello stallo dei negoziati, a rivolgersi al Consiglio di Sicurezza per esporre la questione delle colonie e chiedere una risoluzione che ne dichiari l’illegalitá.
Al momento la sfiducia regna sovrana sul versante palestinese. Mentre il presidente Abbas accusa Tel Aviv di “aver scelto le colonie piuttosto che la pace”, il negoziatore palestinese Nabil Chaath definisce il processo di pace in stato di “coma profondo”, considerando gli sforzi diplomatici del segretario di stato americano Hillary Clinton inutili. Le condizioni senza le quali l’Anp non sarà disposta a riprendere i colloqui, hanno ripetuto, sono la fine dell’occupazione e il riconoscimento dello Stato Palestinese entro i confini del 1967 con capitale Gerusalemme Est.
Intanto il rappresentante della politica estera della UE Catherine Ashton e l’inviato speciale statunitense per la pace in Medio Oriente George Mitchell incontrandosi giovedì scorso hanno richiamato tutta la comunità internazionale a collaborare a calmare le acque nella striscia di Gaza, ribadendo la necessitá di riaprire le frontiere per il passaggio delle persone e degli aiuti umanitari. Ed hanno fissato alcuni obiettivi comuni, da realizzare tenendo in considerazione le legittime preoccupazioni di Israele per la sicurezza e le legittime aspirazioni nazionali palestinesi. I due diplomatici hanno reiterato l’appello per la liberazione immediata del soldato israeliano Gilad Shalit, prigioniero di Hamas dal 2006, ed hanno sottolineato l’importanza di un coordinamento con il Quartetto e con i paesi Arabi vicini.
21 dicembre 2010