Emanuela Ulivi 

I palestinesi, questi sconosciuti. Anzi no: lo sanno fin troppo bene in Libano, specie dopo la guerra civile, di avere in casa alcune centinaia di migliaia di rifugiati ai quali nessuno ha intenzione di concedere la cittadinanza per non scombinare i difficilissimi rapporti di forza comunitari coi quali il Paese dei Cedri regge il suo equilibrio politico. Quest’anno il turismo ha regalato al Libano  una delle migliori stagioni in assoluto, i prezzi delle case a Beirut sono in crescita esponenziale come i depositi bancari. La povertà c’è, ma non è la questione principale all’ordine del giorno dell’agenda politica, occupata al momento dal conflitto tra maggioranza e opposizione sugli eventuali esiti dell’inchiesta Onu sull’assassinio di Rafik Hariri, nel caso in cui, come si vocifera da mesi, fosse implicato Hezbollah.
 
La povertà è invece il termine ricorrente nella prima indagine sulle condizioni di vita dei rifugiati palestinesi in Libano, condotta 62 anni dopo il primo esodo seguito alla nascita dello stato di Israele. I primi dati dell’Indagine socio-economica sui palestinesi rifugiati in Libano sviluppata dall’ UNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East) in collaborazione con l’American University of Beirut, sono stati presentati ieri. Un quadro completo è atteso per la fine di dicembre. 
 
Lo studio, finanziato dall’Unione Europea, è stato condotto quest’estate su un campione di 2.600 nuclei familiari (ogni famiglia è composta in media, con l’astrazione statistica delle virgole, da 4,5 persone), esemplificativo delle condizioni di vita della popolazione palestinese che l’UNRWA stima tra i 260.000 e i 280.000. Due terzi dei quali vivono nei 12 campi ufficiali sparsi per tutto il Libano mentre il resto risiede negli agglomerati vicini. Per metà i rifugiati sono concentrati nelle aree di Tiro e Sidone, un quinto è dislocato nel Nord del Paese e un quinto nella capitale, il 4% nella Beqaa. Arrivati in Libano a più riprese dal 1948 in poi, ad oggi  per metà sono giovani sotto i 25 anni, e per il 53% donne. 
 
Gli indici di povertà sono quasi doppi rispetto a quelli dei loro conterranei libanesi e già da questi primi dati dell’indagine esce un quadro di deprivazione legata alla mancanza di possibilitá di lavoro e di istruzione.
Il 66,6 % della popolazione vive infatti sotto la soglia di povertà (ovvero con meno di 6 dollari al giorno) e il 6,6% raggiunge l’estrema povertà (meno di 2,17 dollari al giorno). L’81% di questi ultimi si trova nelle aree del Sud del Libano. Il tasso di povertá di chi vive all’interno dei campi è più alto rispetto ai palestinesi che stanno nei dintorni, soprattutto nella zona di Tiro dove i poveri sono un terzo del totale. Le case dei palestinesi sono fatiscenti e umide, spesso sovraffollate. L’8% delle famiglie vive addirittura in dei ripari col tetto - e a volte anche le pareti- fatto di lamiera ondulata di ferro e di amianto. A parte la cattiva nutrizione, il 63% lamenta di non avere cibo a sufficienza mentre un 15% manca del necessario per sopravvivere. La conseguenza più significativa di questa penuria alimentare è il ritardo nelle capacitá cognitive e nello sviluppo dei bambini.
Un terzo dei palestinesi rifugiati in Libano soffre di malattie croniche, cosa che puó far scivolare una famiglia nella povertà, come accade se il capofamiglia è disabile. Il 21% ha sofferto almeno una volta di depressione o ansia. Il 95% non ha un’assicurazione sanitaria e la stessa UNRWA fornisce assistenza gratuitamente. 
 
Il 56% dei palestinesi è senza lavoro, solo il 38% di quelli che potrebbero lavorare ha trovato un’occupazione. I due terzi della popolazione esercita lavori poco qualificati nell’edilizia e nell’agricoltura, con un minimo impatto sulla riduzione della povertà, nessuno sull’indigenza. Debbono ancora arrivare gli effetti del –controverso- emendamento della Costituzione votato ad agosto dal Parlamento libanese, che permette ai rifugiati palestinesi di accedere a 72 tipi di lavoro fin’ora preclusi. Ma che continua ad escluderli dalle professioni liberali. 
Le restrizioni del mercato del lavoro sommate agli abbandoni scolastici, costituisce invece un deterrente nella ricerca di un lavoro dignitoso. Poter ricevere un’istruzione è quindi la base fondamentale dello status socio-economico di una famiglia e del suo sostentamento. Infatti nei casi in cui il capofamiglia abbia raggiunto un grado di istruzione superiore alla scuola primaria, la povertá scende al 60,5% e l’estrema povertá è quasi dimezzata. Invece solo il 50% dei ragazzi tra i 16 e i 18 anni frequenta una scuola o dei corsi professionali. Quest’anno l’8% del bambini e dei ragazzi tra i 7 e i 15 anni non risulta iscritto in alcuna scuola. Solo il 6% dei rifugiati palestinesi ha conseguito la laurea.
 
Sulla base di questo studio, i cui risultati saranno condivisi con le istituzioni libanesi, i Paesi donatori e le Ong, l’UNRWA individuerá le prioritá di intervento, focalizzerà i suoi programmi. Per ridurre la povertà di questo popolo sospeso tra l’oggi e il domani.
 
16 Dicembre 2010

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