Emanuela Ulivi
Il primo di giugno l’Egitto ha riaperto a tempo indeterminato il passaggio di Rafah con la striscia di Gaza. Dieci giorni fa la marina israeliana abbordava al largo di Gaza le sei imbarcazioni della Freedom Flotilla determinata a rompere il blocco della striscia che dura da quattro anni. Sulla Mavi Marmara, la più grande delle imbarcazioni partite dalla Turchia cariche di aiuti e di centinaia di attivisti filopalestinesi di varia nazionalità, i militari israeliani hanno incontrato una violenta reazione. Negli scontri, nove cittadini turchi tra i quali uno con passaporto americano, sono stati uccisi dai soldati israeliani. In tutto il mondo sono iniziate e moltiplicate le manifestazioni all’indirizzo di Israele che, caduto o meno in una trappola, rischia di perdere il suo storico alleato nella regione: la Turchia.
La riapertura del valico di Rafah e’ forse indicativa di una nuova situazione che si sta delineando, dai molti significati. Primo: i palestinesi di Gaza innanzitutto, seppure con determinate restrizioni, possono far curare in Egitto gli ammalati e rifornirsi di alcuni generi fondamentali e beni non filtrati dal blocco israeliano. Secondo: pochi giorni fa l’Egitto ha annunciato che la barriera sotterranea per impedire i traffici nei tunnel sarà ultimata a breve. La riapertura del valico col Sinai, proprio perché illimitata –almeno fino a nuovo ordine – ha segnato di fatto la fine del blocco assoluto della striscia di Gaza al quale l’Egitto aveva contribuito attraverso l’accordo con Israele e l’Unione Europea che regolamentava l’apertura e la chiusura del passaggio di Rafah, (diversi gli scontri nel frattempo tra forze di sicurezza egiziane e militanti di Hamas alla frontiera proprio in ragione del blocco), con la sola eccezione della breve riapertura durante la guerra di Gaza (dicembre 2008/gennaio 2009), anche se si tratto’ in realta’ di una forzatura da parte dei palestinesi in fuga.
Terzo: parte dell’opinione pubblica israeliana e mondiale stanno facendo pressione su Israele per un ripensamento, oltre che alleggerimento, del blocco della striscia istituito per indurre Hamas al rilascio del soldato israeliano Gilad Shalit catturato quattro anni fa, impedire il contrabbando di armi e spingere la popolazione a rovesciare il governo di Hamas che nel 2007 ha estromesso da Gaza i componenti di Fatah, oggi riuniti attorno al presidente Mahmoud Abbas a Ramallh, in Cisgiordania. I risultati previsti infatti, non ci sono ancora, danneggiando nel frattempo oltre che sul piano politico anche l’immagine di Israele. E’ notizia di oggi l’alleggerimento dell’embargo che permette il trasferimento di altre categorie di cibi e bevande.
Quarto: la crisi tra Israele e la Turchia potrebbe rafforzare le relazioni tra quest’ultima con l’Iran (vedi il recente accordo tra Iran, Turchia e Brasile, per lo scambio di uranio mentre l’Onu stava preparando sanzioni significative contro l’Iran, regime che ha minacciato più volte di voler cancellare Israele dalla carta geografica) e la Siria (il cui presidente Bachar el Assad ha portato il suo appoggio alla Turchia dopo l’assalto alla Freedom Flotilla), prefigurando nuovi equilibri nella regione che agitano il sonno sia dell’Egitto che dell’Arabia, preoccupati della crescente influenza di Teheran.
Quinto: anche l’Europa è costretta a riflettere sulla sua strategia passata e presente nei confronti della Turchia che non tutti vogliono come partner UE. Riluttanza rimproverata nella giornata di oggi dal segretario alla Difesa americano Robert Gates perché avrebbe favorito lo slittamento della Turchia verso Est. Sesto: la Turchia governata da Recep Tayyp Erdogan, presidente dell’AKP (Justice and Development Party) partito di ispirazione musulmana, fa parte della NATO. Un alleato prezioso fin’ora, che l’Alleanza non può perdere.
Settimo: il presidente palestinese Abbas, subito dopo l’incidente della Freedom Flotilla, pur condannando Israele, ha annunciato di non voler interrompere i colloqui indiretti di pace sotto l’egida degli USA ed ha inviato ramoscelli ad Hamas per una riconciliazione col gruppo fondamentalista al potere a Gaza, che alcuni Paesi tra l’altro, vorrebbero coinvolto direttamente nella trattativa con Israele. Abbas discuterà oggi a Washington col presidente Obama l’alleggerimento dell’embargo nella striscia, rinforzando –almeno in parte- il suo ruolo di negoziatore palestinese. Ottavo: la questione di Gaza non può non chiamare in causa anche i Paesi arabi -e la Lega-, il loro ruolo nel processo di pace e negli equilibri regionali che ancora una volta si giocano attorno alla questione palestinese.
9 giugno 2010