Emanuela Ulivi 

Dieci anni fa, il 24 maggio, Israele si ritirava dal Sud del Libano. Lasciava la fascia di sicurezza occupata per ventidue anni con una decisione unilaterale, spinto dall’opinione pubblica interna e dall’azione di sfiancamento di Hezbollah, sulla cui opportunità ha poi dovuto riflettere. Specie dopo il 2006. Come si aspettava Israele e come si aspettavano i libanesi, Hezbollah - il partito di Dio costituitosi durante l’invasione israeliana del 1982 come formazione armata in funzione anti israeliana, entrato nel ’92 nella politica attiva -  non ha disciolto la sua ala militare.  Nonostante due risoluzioni dell’Onu, la 1559 del 2004 e la 1701 del 2006 ne chiedano il disarmo, oggi rivendica anzi la sua natura di forza di resistenza da una posizione di maggior forza.

La guerra del 2006, la seconda guerra del Libano secondo la definizione data da Israele, non ha compromesso sostanzialmente la sua capacità militare e nel mutato scenario regionale Hezbollah è diventato una pedina essenziale estendendo la sua funzione ad avamposto della strategia iraniana. Non è più soltanto l’unica formazione autorizzata dopo l’accordo di Taef del 1990 (che ha posto fine alla guerra civile in Libano) a detenere le armi per “resistere” ad Israele. Incassato il successo d’immagine nel 2000, il Partito di Dio non ha deposto le armi per rientrare nei ranghi paventando ulteriori minacce da parte di Israele, si è rafforzata al Sud, non solo politicamente e dal 2006 il suo arsenale è stato incrementato dall’Iran con armi sofisticate. Una struttura militare, la sua, che Hezbollah non ha esitato a difendere anche contro lo stato libanese che, sulla scia di una serie di attentati, ha cercato di imporre le sue leggi. Il risultato di questo confronto sanguinoso è stato l’accordo di Doha nel 2008 e il governo di unità nazionale, duplicato anche quando, come è accaduto dopo le elezioni legislative dello scorso anno, la maggioranza in Parlamento è stata assegnata ad un diverso schieramento. 

Il fatto che nel Sud del Libano ci sia da quattro anni la forza internazionale rafforzata dell’Onu, non ha impedito ad Hezbollah il mantenimento dello ”Stato nello Stato”,  a partire dalla banlieau della capitale. Le sue armi sono ben riposte in alcune regioni del Libano off-limits anche per le stesse forze armate del Paese -come alcuni episodi hanno dimostrato-  con le quali si dovrebbe fondere nel caso in cui si arrivasse ad una strategia difensiva comune, che per ora è solo l’argomento ricorrente dell’infinito tavolo di Dialogo nazionale.

Nel Sud la presenza della forza multinazionale dell’Unifil insieme all’esercito regolare, hanno salvaguardato fin’ora il cessate il fuoco stabilito dalla 1701, tra dubbi incidenti, attentati, violazioni e convivenza con la popolazione locale rafforzata dall’intensa attività di sminamento e di ricostruzione. La regione al confine con Israele resta comunque una roccaforte di Henzbollah e di Amal, i due partiti sciiti a fianco anche durante la guerra del 2006, come dimostrato in tutte le tornate elettorali che si sono susseguite dal 2000 ad oggi, comprese le municipali di ieri. 

Dieci anni dopo il ritiro di Israele dal Sud e quattro anni dopo la guerra tra Israele ed Hezbollah, si continua a parlare di guerra. Israele non la esclude, avendo già avvertito che se ci sarà investirà tutto il Libano, suscitando le apprensioni della classe politica libanese che ha intensificato i contatti coi Paesi occidentali per scongiurare un’ipotesi del genere. A fronte di queste minacce, Hezbollah ha fatto sapere che in caso di guerra risponderà bombardando Israele con 15 tonnellate di bombe al giorno. L’accusa mossa alla Siria da Israele, di rifornire di missili Scud il Partito di Dio, smentita anche dal presidente Bachar el Assad nell’intervista di oggi al quotidiano La Repubblica, indica quanto quella stretta fascia tra il fiume Litani e il confine israeliano sia al centro di nuove contese.

24 maggio 2010

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