Emanuela Ulivi 

Due anni e cinque mesi, 46 sedute del Parlamento: tanto c’è voluto per avere un presidente in Libano. Michel Aoun, 81 anni, cristiano maronita, è stato eletto oggi al quarto scrutinio con 83 voti su 127. Torna, il “Generale”, già comandante delle forze armate, nel palazzo presidenziale di Baabda dove era stato nel 1988 da primo ministro con funzioni di capo dello stato ad interim, nominato dal presidente uscente Amine Gemayel alla testa di un governo militare di transizione per preparare le nuove elezioni presidenziali. 

Baabda, andata e ritorno

All’epoca, la guerra non era ancora finita. Il Generale, lanciata la guerra di liberazione contro l’esercito siriano in Libano nel marzo del 1989, si rifugia a Baabda e chiama la popolazione alla mobilitazione contro l’accordo firmato ad ottobre a Taef in Arabia saudita, che aveva posto fine a 15 anni di guerra civile. L’esercito siriano attacca Aoun e le sue truppe asserragliati nel palazzo presidenziale di Baabda; il 13 ottobre 1990 Aoun è costretto a rifugiarsi all’ambasciata francese; il 30 agosto del ‘91 trova riparo a Parigi, dove rimane fino al 2005. 15 anni di esilio, mentre la Siria controlla il Paese. A Parigi Aoun fonda nel 1996 la Corrente Patriotica Libera e nel 2003 Hikmat Dib, candidato maronita della CPL alle elezioni parziali nel collegio di Baabda-Aley, non vince su Henry Helou ma raccoglie tanti consensi. Un segnale. Il colore arancione adottato dagli aounisti, comincia a punteggiare il Paese. 

Il segnale diventa un richiamo per tanti cristiani e non, che vogliono un paese libero dall’occupazione della Siria, dalle sue royalties politiche ed economiche, dalla corruzione e dalle camarille che defraudano il Paese. Con le elezioni del 2009 gli aounisti diventano il gruppo più consistente della componente cristiana in Parlamento, e, al termine del mandato di Michel Sleimane a maggio del 2014, con la forza dei numeri reclamano per il Generale la massima carica dello stato, riservata ai cristiani dal Patto nazionale del 1943.

Un’elezione che spariglia

Oggi Michel Aoun torna a Baabda tra il tripudio della folla e in un panorama politico completamente rovesciato. I nemici  e gli avversari di ieri sono diventati suoi elettori. Il cristiano Samir Geagea, rivale per 30 anni, che ha trasformato in partito politico le Forze Libanesi, la milizia cristiana fondata da Bashir Gemayel, il presidente assassinato nel 1983, dopo essersi candidato con lo schieramento del 14 marzo ha dovuto fare marcia indietro per il suo passato non digerito da tutti. Hezbollah, col quale Aoun ha stretto un’alleanza di intenti dal 6 febbraio 2006, è stato lo scoglio più duro, insormontabile per una parte dei cristiani. Il Partito di Dio ha sostenuto la candidatura di Aoun come promesso, mentre l’altra componente sciita, Amal, si è rifiutata. Walid Joumblatt, che fino a quel momento aveva sostenuto Henri Helou, quattro giorni fa ha deciso il suo appoggio ad Aoun “per uscire da questo circolo vizioso”.

Saad Hariri, in particolare, sunnita, aveva tentato la candidatura di un altro cristiano dello schieramento avverso - e amico del presidente siriano Bachar el Assad - Sleiman Frangieh. Ha capitolato a pochi giorni dal voto annunciando il sostegno decisivo dei suoi deputati ad Aoun. La sua immagine appannata dal lungo soggiorno forzato a Parigi, i suoi affari in Arabia saudita in cattive acque, i licenziamenti anche in Libano, Hariri torna alla ribalta con Aoun e tra poco, si dice, anche alla guida del governo. Un boccone amaro che ha spaccato il suo partito. Saad Hariri è figlio di Rafik, morto nel 2005 in un attentato per il quale il Tribunale Speciale per il Libano ha accusato cinque membri di Hezbollah. Il giorno del suo assassinio, il 14 febbraio, cominciò la Rivoluzione dei Cedri che ha riunito per un verso i vecchi nemici della guerra nel chiedere la fine dell’occupazione siriana, dall’altra ha creato nuovi blocchi politici. Quello del 14 marzo e quello dell’8 marzo. Da un lato i cristiani del partito Kataeb dei Gemayel e, prima che il loro leader prendesse le distanze, quelli di Aoun, i drusi di Joumblatt e i sunniti di Hariri. Dall’altra i cristiani di Sleimane Frangieh, Hezbollah e Amal, i drusi di Arslane. Coi cristiani spaccati in due versanti e in due visioni del futuro del Libano, difficile trovare una figura unitaria per la presidenza della repubblica. 

Proprio grazie a quella rivoluzione, Michel Aoun, ancora più inviso ai siriani per aver testimoniato nel 2003 in commissione alla Camera dei rappresentanti Usa, che voterà il "Syria accountability and Lebanese sovereignty restoration act", cioè le sanzioni contro la Siria che occupa il Libano e sostiene Hezbollah, atterra a Beirut il 7 maggio del 2005, affrancato dalle accuse per quella testimonianza. Anche Samir Geagea, rinchiuso in una cella senza finestre nei sotterranei del ministero della difesa da 11 anni, rivedrà la luce a luglio. Il 26 aprile 2005 la Siria esce dal Libano, le elezioni a giugno consegnano la vittoria al fronte antisiriano ma i consensi raccolti da Aoun, uno “tsunami” come lo definì Joumblatt, spiazzano i cristiani e tutto il gruppo del cosiddetto 14 marzo, dal quale il Generale comincerà a prendere le distanze. Le strategie si ridisegnano. Nel 2009 Aoun abbraccia il presidente Assad a Damasco. 

Determinato a non indietreggiare sulla sua candidatura, il fronte degli aounisti composto da cristiani, mortificati, a loro dire, per la sempre minore influenza della loro comunità nelle scelte politiche, ma supportato da cittadini di tutte le confessioni stanchi della sovranità limitata del loro Paese, terreno di giochi e di interessi di altre potenze, e convinti che Hezbollah pur sostenuto dall’Iran è sempre composto da libanesi, ha tenuto duro e battagliato in tutte le sedi, dando del filo da torcere al premier Tamman Salam, boicottaggio dopo boicottaggio, sia in consiglio dei ministri che in parlamento. Al vuoto presidenziale e alla paralisi delle istituzioni, con le legislative rinviate al 2017, l’incapacità dei cristiani di intendersi e l’indisponibilità di una parte a legittimare bene o male Hezbollah, hanno fatto buon gioco ai sostenitori di Aoun che sono stati irremovibili sul suo nome. Producendo crepe nel fronte avversario. A gennaio Geagea conclude una magistrale riconciliazione con Aoun.

Il sogno diventa realtà

Già da stamani, i maxischermi erano piazzati anche ad Haret Hreick, il quartiere Sud di Beirut dove è nato Michel Aoun e oggi roccaforte di Hezbollah, per assistere all’elezione in diretta del Generale. Fiato sospeso quando su 127 votanti le schede scrutinate sono state 128. Alla fine il risultato atteso oltre che previsto. Michel Aoun è il tredicesimo presidente dall’indipendenza nel 1943. Giuramento in diretta. A lui sono affidate le speranze del Libano elencate nel primo discorso da presidente: un Paese stabile, con istituzioni funzionanti, lotta alla corruzione, rilancio economico, riforme a tutto campo, il ritorno dei rifugiati siriani nel loro Paese. Rispetto della Costituzione e del Patto nazionale, che traccia linee ben precise nei rapporti comunitari. 

Il sogno di molti diventa realtà, ha spiegato di nuovo stasera alla folla in piazza Gebran Bassil, capo del partito, attuale ministro degli esteri e genero del neo presidente, invitando la popolazione ad andare domenica prossima a Baabda, al “palazzo del popolo”, solo con la bandiera del Libano e nessun’altra, per esortare il presidente della Repubblica a portare a compimento i sogni dei cittadini e assicurare loro una vita degna. Tocca ora al presidente Michel Aoun tirare fuori il paese dall’impasse politica, sociale, economica. E preservarlo dal caos regionale. Come promesso. Primo banco di prova, la formazione del novo governo; giovedì si saprà ufficialmente chi sarà il premier incaricato. Dovrà anche prendere posizione sull’intervento di Hezbollah in Siria. E rispondere al regime di Assad, tra i primi a felicitarsi con Aoun per l’elezione, ma che giorni fa ha richiesto ufficialmente la restituzione di 105 tank e 100.000 razzi forniti al Libano 27 anni fa.

31 ottobre 2016

Vai all'inizio della pagina