Emanuela Ulivi
Nonostante non abbia - o non abbia ancora - presentato la sua candidatura alle elezioni presidenziali dell’anno prossimo, l’ex direttore generale dell’Agenzia Internazionale dell’Onu per l’Energia Atomica e premio Nobel per la pace Mohammed El-Baradei sta scuotendo l’opinione pubblica e la classe politica egiziana. Lo si era capito subito al momento del suo ritorno in Egitto il 19 febbraio scorso, la prima volta dalla fine del suo mandato all’AIEA a novembre, quando fu accolto all’aeroporto da una folla composita ed entusiasta. E ancora più chiaro è stato il messaggio qualche giorno dopo, con l’incontro tra El Baradei e i membri dell’opposizione per dare vita ad una nuova formazione, il Fronte Nazionale per il Cambiamento e lanciare il manifesto “Insieme per il cambiamento”, firmato dagli egiziani in patria e all’estero.
In fondo, come scriveva Abdel-Moneim Said sul settimanale Al-Ahram poche ore prima dell’arrivo dell’ex direttore dell’AIEA al Cairo, già si parlava –e non solo in Egitto- del “fenomeno di El Baradei” in vista del suo ingresso in politica e della sua intenzione di candidarsi alle presidenziali. Fenomeno dovuto al suo spessore e alla sua statura di diplomatico che, arguiva Said, avrebbe dato una chance ai partiti laici e liberali di opposizione di riguadagnare terreno nei confronti degli islamisti. Scriveva poi il direttore dell’Al Ahram Center for Political & Strategic Studies, “forse la sua accoglienza al Cairo sarà il primo test sulla sua potenziale popolarità” e immaginava una presa di contatti graduale e meditata sia per familiarizzare coi cittadini che con le organizzazioni sociali per allargare il loro coinvolgimento. Prevedeva anche che nella sua campagna politica, seppure focalizzata nell’alternativa al Partito Nazionale Democratico di Hosni Mubarak, avrebbe avuto cura di differenziarsi da altri politici: “In altre parole – scriveva- El-Baradei avrà in mente di non essere come Yehia El-Gamal, Hassan Nafaa, Ayman Nour or Osama El-Ghazali Harb. Aspetterà finché non sarà sicuro di aver coinvolto centinaia di migliaia di persone e nel caso che questi numeri non ci siano si allontanerà dalla scena e tornerà in quegli ambiti internazionali che ancora lo attenderanno”.
La previsione, com’è ovvio, è ancora tutta da verificare. Ma al di là della strategia politica di El Baradei, in Egitto, dove gli egiziani sono attesi quest’anno all’appuntamento con le elezioni legislative, ci sono forti pulsioni per un cambio di marcia sfociate negli ultimi anni nelle proteste prima del movimento Kefaya e poi in quello del 6 aprile, i cui esponenti erano all’aeroporto insieme ad altre migliaia di cittadini sfidando il divieto delle forze di sicurezza, per incoraggiare El Baradei a candidarsi alla presidenza della repubblica. Disponibilità questa già dichiarata dall’ex direttore dell’AIEA a patto che il voto si svolga in modo corretto e che sia monitorato. Rappresenta infatti per l’opposizione uno sfidante credibile del presidente Mubarak, alla guida dell’Egitto dalla morte di Anwar el Sadat nel 1981, che non ha ancora dichiarato se si ricandiderà o se lancerà il figlio Gamal, attuale capo del comitato politico del Partito Nazionale Democratico.
Intanto El Baradei sembra avere, almeno in parte, oltrepassato la “buona impressione”. Qualche giorno dopo quell’accoglienza “da eroe”, tra canti e striscioni, finita su tutte le TV e che ha perciò già portato il suo viso in tutte le case degli egiziani, una trentina di esponenti laici dell’opposizione hanno dato vita ad una coalizione, poi annunciata il 21 febbraio col nome di “Fronte Nazionale per il Cambiamento”, con l’intento di riformare la politica ed emendare la Costituzione, col sostegno popolare attraverso una petizione. Politici, intellettuali, tra i quali il coordinatore della Campagna contro la Successione Presidenziale Hassan Nafaa, Ayman Nour, candidato alle presidenziali per il partito El Ghad e l’ex leader del movimento Kefaya, George Ishaq, hanno preso parte a quell’incontro che, come hanno spiegato, aveva lo scopo intanto di parlare delle riforme politiche e di conoscere meglio le idee di El Baradei, consapevoli che nelle condizioni attuali l’ex direttore dell’AIEA non potrebbe candidarsi se non cambiando alcuni articoli della Costituzione introdotti nel 2005 e nel 2007.
Proprio le riforme costituzionali sono state l’argomento della sua prima dichiarazione pubblica, in cui ha chiesto un alleggerimento delle restrizioni previste per le candidature, la fine delle leggi di emergenza in vigore da 28 anni –dalle quali derivano le relative restrizioni delle libertà civili- e della supervisione giudiziaria delle elezioni, permettendo anche agli egiziani residenti all’estero di poter esprimere il loro voto l’anno prossimo. Queste come segno d’inizio di un piano più vasto di riforme. “Sto lavorando – ha affermato El Baradei - per mobilitare le masse popolari favorevoli al cambiamento, per convertire il sistema egiziano in un sistema democratico che assicuri la giustizia sociale”.
Alla fine di marzo, il 26, attorniato dai suoi sostenitori e sotto i riflettori dei media, è andato tra la gente povera del Cairo a stringere le loro mani, mentre si dirigeva verso la moschea Al-Hussein per la preghiera del venerdì nel quartiere di Gammaliya. Un messaggio chiaro ma troppo illuminato dalle TV per alcuni, che ha destato anche qualche sospetto. L’intento di El Baradei, così ha dichiarato, non era la fama personale ma un allargamento della base popolare, come ha cercato nei giorni successivi incontrando altri segmenti della società egiziana: registi, e attori e, soprattutto, la comunità religiosa dei Copti, occasione questa per sottolineare che cristiani e musulmani sono uguali. Si è incontrato anche coi Fratelli Musulmani, formazione che El Baradei considera una forza della società anche se si è detto contrario ai partiti basati sulla religione, aprendo un dialogo intorno alle riforme costituzionali. Per parte loro, i Fratelli Musulmani non si sono ancora pronunciati del tutto circa un eventuale appoggio a El Baradei l’anno prossimo, anche se molti degli studenti che aderiscono a questa formazione hanno preso parte alle manifestazioni di piazza.
Ma subito agli inizi di aprile, durante la dimostrazione organizzata dal movimento del 6 aprile, la richiesta di maggiore democrazia di un’opposizione catalizzata dalla scesa in campo di El Baradei si è scontrata con la realtà: diversi dimostranti sono stati picchiati, 90 imprigionati e rilasciati il giorno successivo, perché la manifestazione non era autorizzata. Episodio che ha fatto il giro del mondo raccogliendo dichiarazioni di condanna che, in ultima analisi, hanno finito per rafforzare l’immagine di El Baradei: la repressione di quella manifestazione pacifica, ha poi commentato, è stata un insulto alla dignità di ogni egiziano. Una settimana dopo sono seguiti altri scontri in una analoga manifestazione organizzata dal movimento Kefaya.
La positività dell’impatto, secondo alcuni analisti, è però solo il primo step. Passata la fase di posizionamento rispetto ad un regime ormai sedimentato, El Baradei deve ora dire qual è il suo programma per raggiungere e tenere fede alle promesse di cambiamento. Una prima presa di posizione, negativa, riguarda la barriera sotterranea in costruzione tra l’Egitto e la striscia di Gaza, iniziativa che a suo avviso potrebbe fare sembrare l’Egitto sia complice di Israele nei confronti dei palestinesi assediati. Ha proposto invece, di chiudere i tunnel e aprire una zona permanente di libero scambio a Rafah.
Più che sul versante regionale, El Baradei ha però davanti un lungo percorso all’interno della società e delle istituzioni egiziane. Un itinerario la cui difficoltà è forse già implicita nel suo appello al boicottaggio delle prossime legislative, rivolto ai partiti dell’opposizione, se non verranno apportati cambiamenti alla Costituzione che ne assicurino la trasparenza. Questo anno e mezzo che lo separa dalle elezioni presidenziali, rivelerà se e quanto il “fenomeno El Baradei” sarà in grado di cambiare davvero l’Egitto.
28 aprile 2010