I Paesi delle due sponde del Mediterraneo dovranno ancora rinunciare a una strategia comune sull'acqua. Alla conferenza dell’Unione per il Mediterraneo – UpM – sull’acqua, conclusasi ieri a Barcellona, è mancato l’accordo fra i delegati dei 43 Paesi membri (paesi dell’Unione Europea, Israele, Turchia, e paesi arabi che si affacciano sul Mediterraneo). Il segretario generale dell’UpM, il giordano Ahmad Masadeh, dopo aver deplorato quanto accaduto, ha ricordato che al momento ci sono in azione ancora cinquanta progetti sull'acqua e ha chiesto alle Nazioni Unite, alla Lega Araba ed al Consiglio Africano dei Ministri di impegnarsi per la soluzione del problema. "Abbiamo bisogno di una nuova cultura dell'acqua - ha affermato - che permetta di creare meccanismi in grado di generare prosperità". L’appuntamento di Barcellona era il primo importante test dopo la recente creazione dell’Upm nel 2008. Il vertice avrebbe dovuto servire ad adottare una strategia comune per evitare che circa 300 milioni di abitanti nel bacino del Mediterraneo si trovino da qui al 2025 con un limitato accesso alle risorse idriche, così come previsto dalle Nazioni Unite.
Parole
Tutto per una questione semantica - dietro alla quale vi è una sostanziale motivazione politica - quella che separa il termine “territori occupati" da “territori sotto occupazione". Israele ha insistito sulla seconda formulazione e i Paesi Arabi sulla prima. Purtroppo per gli esperti che avevano lavorato al progetto, elaborato meticolosamente, e dopo una lunga preparazione che aveva portato a un sostanziale accordo, non si è arrivati infine ad un accordo. Come ha spiegato il Ministro dei Mezzi Rurali e dell'Acqua della Spagna, Josep Puxeu, i 43 paesi erano “d’accordo al 99% sulla dichiarazione e sulla strategia”. Nonostante il fallimento politico di ieri, “gli esperti hanno voluto vedere il bicchiere mezzo pieno e non mezzo vuoto”, secondo le parole di Puxeu.
Purtroppo è stato impossibile aggirare il veto posto da Israele e altri paesi del Medio Oriente sulla denominazione da dare ai territori occupati di Palestina, Siria e Libano. Ma anche superare le riserve della Turchia ad approvare una convenzione dell'Onu del 1997, che regola le relazioni fra i paesi che condividono lo stesso corso fluviale.
Risorse sempre più scarse
Le risorse idriche della zona mediterranea sono limitate, soffrono le variazioni imprevedibili e, in larga misura, non vengono ben gestite. Circostanze che il cambiamento climatico accentua ancora di più. L'ultimo rapporto delle Nazioni Unite indica che, prima di 15 anni, 290 milione di persone che vivono nei paesi litoranei avranno limitato il loro accesso all'acqua, fatto che genererà conflitti sociali e territoriali con conseguenze imprevedibili.
Un’altra grande sfida che il documento contemplava è quella della purificazione delle acque. Ben 47 milioni di persone dei paesi mediterranei non hanno accesso all'acqua purificata. Quasi il 50% degli abitanti del nostro mare abita in città, delle quali, ben una su tre non possiede nemmeno un impianto di purificazione.
L'aumento della popolazione, l'attività turistica nei litorali e gli usi agricoli incrementeranno la richiesta del 30% nella prossima decade, mentre le riserve idriche potrebbero essere ridotte in una percentuale identica a causa degli effetti del cambiamento climatico.
Il documento strategico che doveva essere approvato ieri, includeva inoltre un “incentivo” al risparmio del 25% d'acqua totale che è stata consumata nel 2005 entro la scadenza del 2025, come pure una serie di sfide sulla conservazione delle risorse, sul miglioramento dell’amministrazione e sulla salvaguardia della sanità pubblica.
Il Ministro per l'Ambiente della Spagna, Elena Espinosa, che ha presieduto l'inaugurazione del congresso, ha indicato che la zona mediterranea è una conca idrologica squilibrata, con i fenomeni estremi della siccità e delle inondazioni cicliche, ed ha avvisato i paesi che formano l'UpM della necessità di dotarsi di una "strategia comune per una risorsa scarsa” per avere acqua a media e a lunga scadenza. La realtà, tuttavia, è che mentre i paesi del Nord - concretamente quelli dell'UE, che devono contare sui criteri comunitari - già da tempo stanno dirigendo le loro risorse idriche in maniera globale, applicando i criteri economici sui costi di recupero e sull'effetto dell'uso delle risorse, i paesi del Sud e dell'Est difettano ancora di programmi di intervento.
14 aprile 2010