Emanuela Ulivi 

Libano: Misbah Al-Ahdab:"Il nuovo governo non rispecchia la volontà della gente"

BEIRUT - Mesi di silenzio. Ora Misbah Al-Ahdab, deputato indipendente fino alle elezioni del giugno 2009 nelle file della coalizione di maggioranza, torna a farsi sentire. 

Dopo tredici anni non siede più in Parlamento. Eppure lei è stata una delle voci di punta, della prima ora che hanno portato alla Rivoluzione dei Cedri dalla quale è uscita la maggioranza eletta in Parlamento nel 2005 e riconfermata  nel giugno del 2009. Che cosa è accaduto?

C’è stato un compromesso tra Arabia e Siria (che si sono riavvicinate dopo quattro anni di gelo nelle relazioni, n.d.r.) e sono state fatte delle liste miste mantenendo le stesse promesse elettorali”, afferma Misbah Al-Ahdab dal suo attico che si affaccia sul palazzo del Serail, sede del Governo, dove si è insediato da poco l’esecutivo presieduto da Saad Hariri del quale fanno parte dieci ministri –su trenta- designati dall’opposizione, due dei quali appartenenti ad Hezbollah, il Partito di Dio che, come scritto nel programma di governo, è legittimato a detenere le sue armi. 

 “Non potevo creare problemi e per mantenere la mia credibilità ho dovuto essere coerente con le promesse e le promesse del 14 marzo (la coalizione di maggioranza, n.d.r.). Ho perso le elezioni e un’ora prima dell’annuncio dei risultati ho convocato una conferenza stampa.  Purtroppo quello che accade oggi è una ‘fregatura’, perché dopo le elezioni si è detto ad Hezbollah che le sue armi non si discutono e che tutte le decisioni sarebbero state prese all’unanimità, in sostanza che la maggioranza non serviva. Credo che i miei alleati abbiano deluso me come altri alleati, ma almeno ora le cose sono chiare. E non ho voluto parlare prima per non dare l’impressione di chi è scontento perché è fuori. Il Libano si trova al centro di un confronto tra agende regionali, ma c’è un minimo di rispetto delle istituzioni e delle regole del gioco da conservare. Ora invece non ci sono più regole del gioco. A cose normali, si opera sulla base della  Costituzione ma da quando non si è mostrato coraggio di fronte ad  una lettura armata della Costituzione, si è accettato il fatto compiuto. Abbiamo accettato il fatto che da una parte c’è della gente armata e dall’altra la legittimità. Le elezioni di giugno sono state un messaggio: vogliamo la legittimità per sostituirla al fatto compiuto. Ora invece viene data legittimità al fatto compiuto, senza garanzie che queste armi non verranno usate in Libano come è accaduto il 7 maggio 2008. Questo significa che in Libano le decisioni si prendono con l’autorità delle armi e non con la volontà della gente”.

La rivoluzione dei Cedri e lo spirito di allora sono stati affossati dagli scontri del maggio 2008 e dall’Accordo di Doha, o già con le elezioni del 2005 e l’accordo quadripartito (Hariri, Hezbollah, Aoun, Joumblatt) se ne era già demolita una parte?

Quello è stato l’inizio dell’errore. Alla prima riunione del Bristol in cui si chiedeva l’uscita della Siria dal Libano e l’applicazione della Costituzione, cioè quando neanche Hariri, che pure ha fatto cose importanti, osava chiedere questo, c’erano molti sciiti coi quali condivido il punto di vista, ma nei confronti dei quali si sono comportati come hanno fatto anche nei miei riguardi, dando la rappresentanza nel governo ad altri sciiti. Per cinque anni non abbiamo potuto prendere iniziative e, con Saad Hariri vicino all’Arabia Saudita, non si è potuto superare un certo limite. Non ho niente di personale con Saad Hariri, ma non avremmo dovuto essere cosi’ frontali contro la Siria, insultandola dopo il 14 febbraio 2005. C’e’ gente in questo Paese che non e’ legata ad altre potenze regionali, che non è finanziata né dall’Iran né dall’Arabia. Bisogna rispettare le regole del gioco. Nessuno ha mai voluto una guerra civile ed abbiamo fatto quello che si doveva fare, lottato contro la Siria, manifestato, ci sono stati anche dei morti. Tutti sacrifici fatti dalla gente non come un business di famiglia. Io non sono contro l’Arabia che anzi ha sostenuto il Libano, ma non si possono regolare le nostre relazioni con la Siria a seconda del rapporto tra l’Arabia e la Siria. Il Libano deve avere una sua agenda. Prendiamo ad esempio il rapporto con Israele: la Siria parla con Israele per mezzo della Turchia, Hezbollah parla con Israele tramite la Germania. Perché anche  il Libano non può parlare con Israele?  Ripeto, non sono mai stato favorevole allo scontro con la Siria, ma anche se riconoscente non credo che l’Arabia Saudita debba avere la procura per parlare con la Siria. Questioni come quella delle frontiere sono gia’ state affrontate e accettate al tavolo del dialogo nazionale e c’è ora un atteggiamento positivo da parte della Siria. Questo bisogna dirlo alla gente”.

Il governo appena varato e’ il frutto di un accordo comunitario e vede presenti ministri sia della maggioranza che dell’opposizione. Trova che la formula adottata sia una buona soluzione?

E’ una soluzione che segue quello che succede nella regione perché i singoli stati hanno messo chi volevano. E c’è un nuovo giocatore, l’Iran. Non vedo come il governo attuale possa quindi opporsi agli interessi regionali. Non so dire se si potrà avere l’elettricità o eliminare l’inquinamento, se guardiamo prima alle confessioni e poi alle influenze regionali. Ci sono persone fantastiche nel governo ma non si sa se avranno la possibilità di lavorare perché la sfida è tra il sistema di Hezbollah che è finanziato dall’Iran, e una lettura militarizzata, armata, della Costituzione, basata sui rapporti di forza. Le elezioni sono state fatte per avere legittimità contro i rapporti di forza. In questo senso dico che questa è una grande fregatura”.

Di quali riforme urgenti ha bisogno  il Libano?

”Il paese ha bisogno di un margine locale. Abbiamo un’amministrazione che risale agli anni ’70 e quel modello è ormai superato. Come si potrà discutere di politica senza pensare a soluzioni nuove in ambiti come ad esempio quello dell’istruzione che rispecchia le varie fazioni politiche? Continuare su questa strada non è un progresso, un milione e 400 mila persone su quattro milioni, non si sono mosse per questo. Ci sono persone in posizioni di potere da anni che continuano a parlare ai giovani che però partono e lasciano il Paese. Nella dichiarazione ministeriale non se ne parla così come non si parla delle garanzie che le armi (di Hezbollah) non verranno usate in Libano, come se le istituzioni fossero una copertura ad Hezbollah, esponendo cosí il Paese ad una aggressione israeliana in cui forse vinceranno ma in cui forse in quel momento il Paese non ci sarà più. Quando Hezbollah dice di essere fiero di essere fedele al wali el-fakih, ossia al dettame dei saggi le cui decisioni vanno applicate per credo, non si tratta più di dare una copertura alle armi contro Israele ma di coprire l’Iran e la sua questione del nucleare. Hamas e Hezbollah sono legati a Teheran ed è come se il Paese fosse nella mani di Khamenei. Dare una copertura a questo significa diventare un bersaglio. I bisogni della gente sono altri: invece di parlare del terzo di blocco, parliamo del terzo di funzionamento. Di meritocrazia: bisogna cambiare atteggiamento riguardo al confessionalismo, almeno prendiamo i migliori; se tutti sapranno che vengono scelti i migliori cristiani e i migliori musulmani, forse tra dieci anni si comincerà a scegliere i primi sei. Poi c’è la riforma amministrativa: si fanno studi da diciannove anni che potrebbero riempire un palazzo, ma manca la volontà politica. Bisogna separare le cose che riguardano la gente dalle questioni che riguardano il Medio Oriente, e finché saremo legati  alle questioni regionali al cento per cento, non potremo far decollare il Paese”.

Riuscirà questo governo a realizzarle?

“Credo che questo governo non riuscirà a realizzarle. Da parte mia sono comunque disponibile a dare il mio apporto. Ma dico pubblicamente che questa è una brutta gestione della volonta’ popolare; finché l’Iran non avrà problemi col resto del mondo, il Libano funzionerà, in caso contrario no. Ci sono stati cinque mesi di trattative e poi senza che nessuno sapesse perché è stato fatto il governo. Questo dimostra che i cambiamenti del Libano sono legati strettamente ai cambiamenti regionali”.

Sleimane Frangieh ha dichiarato che il presidente siriano Assad ha lavorato molto per la formazione di questo governo.  Che peso ha la Siria in Libano, cinque anni dopo che ha lasciato il Paese?

“La Siria avrà sempre un peso: ha il 75% delle frontiere in comune col Libano, ha lo stesso tessuto sociale. Un legame ci sarà sempre, questo è normale. Ma per garantire questo bisogna mettere delle regole e la cosa peggiore è che si possa essere in animosità con la Siria. Le mie critiche sono sempre state volte ad uno spirito di collaborazione. La Siria oggi è pronta? La Siria non è più presente in Libano fisicamente e se si parla solo di influenza siriana bisogna parlare anche dell’influenza iraniana oggi più potente e di quella dell’Arabia meno nascosta. Il Libano è come un terreno di battaglia naturale, ha detto Nasrallah, ma quello che abbiamo visto a Beirut nel 2008 è esattamente quello che abbiamo visto a Teheran dopo le elezioni”. 

A Tripoli, la sua città, ci sono spesso degli scontri tra vari gruppi. Di che formazioni si tratta e sono queste fuori o sotto il controllo dello stato?  

“Nel 2008, il 7 maggio, quando ci sono stati gli scontri a Tripoli, l’idea era di non volere altre armi a Tripoli che non fossero quelle dello stato libanese. Questo, in una parte del Libano dove Hezbollah non esiste. Non abbiamo dato opportunità ai salafiti di avere il sopravvento politico per non avallare l’idea che Tripoli fosse una città integralista. Ma mentre noi volevamo lo stato, gli esponenti del 14 marzo hanno operato una riconciliazione lasciando di fatto le armi a tutti, cioè si è trattato di un cessate il fuoco. Lo stato li può controllare? Non lo so, non c’è un gruppo che non appartenga ad uno stato della regione. Purtroppo per cinque anni ci si è occupati di questi gruppi più che di portare sviluppo nel Nord. Ma la guerra è finita nel ’90 e non c’è motivo che ci siano gruppi armati oggi. Anche questo è un problema di volontà politica, coi rischi che comporta”.

23 dicembre 2009

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