Martedi' il Premier Israeliano Benjamin Netanyahu ha dato il via libera alla costruzione di 900 unità abitative a Gerusalemme est nel quartiere di Gilo, area contesa con i Palestinesi.

Un ennesimo annuncio che ha suscitato il netto disappunto dei paesi coinvolti nei faticosi negoziati non ancora decollati. 

Le reazioni infatti non si sono fatte attendere a cominciare dall’America che si è detta “costernata” dalla notizia, mentre l’Onu ha ricordato al governo israeliano che gli insediamenti sono illegali e ha sollecitato Israele a bloccarli.

Anche il segretario della Lega Araba ha espresso tutta la sua disapprovazione: “questa mossa è una chiara e grave escalation che riflette la vera politica del governo israeliano verso gli sforzi di pace nella regione.”

Il capo negoziatore palestinese Saeb Erakat ha dichiarato che “nessuno riconosce a Israele il diritto di estendere le costruzioni a Gerusalemme est. Le terre su cui sono edificati quei quartieri fanno parte del mio futuro stato. Questo deve cessare: Israele deve scegliere o la pace o le colonie. E noi logicamente speriamo che opti per la prima soluzione”.

Intanto il primo ministro israeliano difende rigorosamente il suo progetto sottolineando che il quartiere costituisce la parte integrante di Gerusalemme. Il leader israeliano ha detto di essere “stupefatto” dalla richiesta del portavoce della casa bianca Robert Gibbs di congelare le costruzioni.

Gerusalemme est rimane il pomo della discordia tra Israele e Palestina tant’è che il segretario delle Nazioni Unite Ban Ki Moon “deplora” l’autorizzazione data dalla autorità governativa alla costruzione degli insediamenti. I palestinesi alla luce di continui insediamenti e dopo le demolizioni di alcune unità abitative palestinesi ad Ottobre, oltre ai negoziati di pace finiti con un nulla di fatto, sono sempre più insofferenti. 
Essi accusano le autorità comunali israeliane di attuare delle discriminazioni e di portare avanti una vera e propria “politica di ebraizzazione”.

Il clima di esasperazione ha portato Erakat a chiedere unilateralmente al consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il riconoscimento di un proprio stato. Una iniziativa proprio in difesa di quelle terre che faranno parte “del suo futuro stato”.

“Il fatto che Israele continui ad autorizzare la costruzione di nuove colonie in Cisgiordania non ci lascia altra scelta. Non stiamo negoziando- continua il capo negoziatore- da diciotto ore o da diciotto mesi ma da diciotto anni. E’ per questo motivo che ci rivolgiamo al consiglio nazionale di sicurezza per cercare di ottenere il suo sostegno alla creazione di uno stato palestinese indipendente che abbia come capitale Gerusalemme e le cui frontiere sarebbero quelle del giugno 1967”.

L’Unione Europea, a cui Erakat chiedeva l’appoggio del progetto, ha subito affermato che riconoscere uno stato palestinese è prematuro nonostante i leader UE stiano lavorando alla preparazione di tale riconoscimento in sede ONU.

Non approva la proposta neanche Hamas: “per formare uno stato indipendente Israele deve mettere la parola fine alla occupazione. La proclamazione di uno stato palestinese deve essere il risultato dell’azione di resistenza e non frutto di una decisione presa dalla Autorità Palestinese per riempire un vuoto dopo il fallimento della soluzione politica. Lo stato indipendente - conclude la nota- dovrebbe andare dal Mediterraneo al Giordano e sperare di farlo riconoscere solo entro i confini del ’67 non è altro che un modo per sfuggire ai doveri della resistenza contro l’occupazione sionista”.

No categorico anche dalla Casa Bianca che ribadisce di essere favorevole a uno stato palestinese ma deve essere il risultato di un negoziato tra le parti. Senza questo presupposto l’iniziativa non può essere accolta.

Da parte sua Israele ha concesso un “congelamento parziale” delle colonie ebraiche senza accettare la rischiesta delle autorità internazionali di bloccare immediatamente e totalmente le attività edilizie. Una concessione che rimanda a domani una questione che chiede risoluzioni oggi.

20 novembre 2009

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