Emanuela Ulivi 

Un alto  esponente dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina in Libano,  Kamal Medhat, è stato ucciso lunedì scorso in un attentato alle porte del campo profughi di Mieh Mieh, nel Sud del Libano. Insieme a lui sono morti Akram Daher, responsabile della sezione giovani dell’Olp in Libano e le due guardie del corpo, Khaled Daher e Mohammed Shehadeh.

Nell’esplosione – probabilmente dovuta ad una bomba di circa 20 chili di TNT-  altre tre persone sono rimaste ferire, mentre l’auto con a bordo Medhat è stata scagliata a decine di metri di distanza. Conosciuto anche come Kamal Naji, Medhat, 58 anni, era stato stretto collaboratore del presidente palestinese Yasser Arafat ed aveva ricoperto incarichi di intelligence per Fatah in Libano. Lunedì si era recato al campo profughi di Mieh Mieh, vicino alla città di Sidone, per fare le condoglianze alla famiglia di un esponente di Fatah ucciso durante gli scontri dei giorni scorsi al campo.

Sulle cause dell’assassinio, condannato anche dal presidente palestinese Mahmoud Abbas, alcuni ipotizzano che il vero obiettivo fosse Abbas Zaki, il rappresentante dell’OLP in Libano, che era andato nello stesso campo poche ore prima e che, come anche Amal ed Hezbollah, ritiene che nell’attentato sia implicato Israele. Sultan Abul Einein, vecchio responsabile di Fatah in Libano, teme invece che l’attentato possa essere il primo di una serie contro i dirigenti di Fatah in Libano, dove nessuno era stato colpito fin dall’epoca del ritiro dell’OLP nel 1982. Altri ancora sono preoccupati che questo gesto possa minare l’unità dei palestinesi,  proprio nel momento in cui al di là del confine sono in corso i tentativi di riconciliazione tra Fatah e Hamas dopo l’offensiva israeliana a Gaza.
Anche il rappresentante di Hamas, il partito rivale di Fatah, Osama Hamdan, ha condannato l’assassinio di Medhat al quale ha riconosciuto un ruolo di mediatore tra i due maggiori gruppi palestinesi. 

Il timore più diffuso è che l’attentato aumenti la tensione non solo in Libano, dove si è in piena campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento, ma soprattutto nei campi, già in ebollizione nei mesi scorsi, che ha portato a dei veri e propri scontri tra Fatah ed alcuni gruppi islamici causando 12 morti. La situazione è diventata particolarmente critica –specialmente ad Ain el-Helueh, campo molto popolato, vicino a quello di Mieh Mieh- all’indomani della guerra dell’estate 2007 tra l’esercito libanese ed il gruppo islamista Fatah el-Islam nel campo di Nahr el-Bared, vicino a Tripoli, durante la quale l’esercito per la prima volta è entrato in un campo palestinese dalla fine della guerra civile nel 1990. L’esercito infatti normalmente sta all’esterno dei campi (12 quelli ufficiali) dove sono rifugiati circa 300.000 palestinesi.

Abbas Zaki negli ultimi anni ha più volte sottolineato che i palestinesi sono ospiti e la loro presenza non deve essere a scapito del Libano. La risoluzione 1559, imponendo il disarmo di tutte le milizie presenti in Libano, oltre a quelle Hezbollah si riferisce alle armi dei palestinesi, ma, ad oggi, la questione è stata affrontata solo per le armi fuori dai campi. Nei quali, viste le restrizioni imposte dallo stato libanese ai palestinesi, i rifugiati –una parte fin dal 1948- sono confinati e la vita diventa sempre più difficile, mentre il Libano sostiene il loro diritto al rientro non essendo nessuna delle 18 comunità disposta a compromettere l’equilibrio confessionale.

24 marzo 2009

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