Emanuela Ulivi
BEIRUT - Quindici ragazzi stringono tra le mani il loro attestato di installatore di pannelli solari all’Istituto Tecnico Don Bosco di el- Fidar, conseguito al termine del corso di formazione. Sono ragazzi cosiddetti vulnerabili tra i 20 e i 30 anni, di tutte le regioni, tre sono rifugiati palestinesi. Un progetto finanziato dalla cooperazione italiana, con l’Onu che ha fornito i pannelli solari donati dalla Cina, mentre al Ministero dell’Energia libanese è stato chiesto il riconoscimento degli attestati, con l’impegno ad installare pannelli solari negli uffici pubblici e in quelli di pubblica utilità. Non un’iniziativa enorme ma indicativa di un modo di lavorare. All’indomani della guerra tra Israele ed Hezbollah del 2006, l’Italia ha aperto un nuovo capitolo in Libano, non solo con la presenza del contingente più numeroso dell’Unifil ma anche attraverso il rafforzamento della cooperazione durante e dopo il conflitto, ribaltando la concezione classica di assistenza, a favore di un vero partenariato con le istituzioni e la società civile libanesi. L’impegno complessivo è di poco inferiore ai 250 milioni di euro, tra doni e crediti d’aiuto, ad indicare che l’Italia, primo Paese a correre in aiuto nel 2006, e’ anche il più’impegnato nei progetti di sviluppo.
Dalla ricostruzione delle infrastrutture al cinema itinerante, sono un centinaio i progetti sul territorio, sotto la supervisione dell’Ambasciata italiana, affiancata da settembre 2007 da un Ufficio Tecnico regionale che ne coordina l’esecuzione. “A noi spetta gestire al meglio i fondi, seguendo in larga misura le richieste dei beneficiari –spiega l’Ambasciatore Gabriele Checchia, in Libano dall’ottobre 2006-. Due le categorie degli interventi: quelli di emergenza dedicati alla ripresa delle aree più colpite (finanziati col Ross, il programma di Riabilitazione, Occupazione, Servizi, Sviluppo, 30 milioni di euro stanziati nella conferenza di Stoccolma dell’agosto 2006, la metà dei quali per progetti di Ong italiane) che vanno dallo sminamento e cultura della prevenzione, all’ambiente, alla gestione rifiuti, allo sviluppo economico, al ruolo della donna, al settore sanitario e sociale, alla riabilitazione dai traumi del conflitto, specie nell’infanzia”. “Il Libano però non è solo il Sud –sottolinea Checchia- ma anche il Nord sunnita, con sacche di povertà che alimentano il terrorismo, ed è il Libano dei cristiani: l’ultimo pacchetto di iniziative concertato con il ministero degli affari sociali, riguarda la ricostruzione e le infrastrutture in 12 villaggi nello Chouf e Aley per i rifugiati della guerra civile”. “Poi –prosegue l’ambasciatore- ci sono i programmi infrastrutturali finanziati con gli stanziamenti stabiliti nella Conferenza di Parigi del gennaio 2007, i due più importanti sono in corso e riguardano la rete idrica e la depurazione delle acque nelle regioni di Tripoli, Koura, Jbeil, Zahle, villaggio quest’ultimo collocato in una zona strategica e quindi centro di diffusione di un messaggio di convivenza. Quasi tutti questi progetti sono legati ad imprese italiane; si tratta infatti di grandi opere che attirano l’attenzione delle imprese che vogliono farsi conoscere qui. Al di là del dato umanitario, la cooperazione italiana, mira a sostenere la stabilizzazione in un’area strategica, con ritorni indiretti di immagine per l’Italia e ricadute sul terreno industriale, in un Paese del quale, tra l’altro, siamo il primo partner commerciale da decenni”.
Uno degli ultimi finanziamenti, 5 milioni di euro, riguarda la ricostruzione di Nahr el-Bared, il campo palestinese distrutto dalla guerra del 2007 tra l’esercito libanese e il gruppo islamista Fatah el-Islam.
“E’ un investimento politico. L’Italia, insieme agli organismi internazionali, è stata la prima a sostenere la proposta del premier libanese Siniora di ricostruzione del campo, per favorire la stabilità. L’intervento riguarda anche sei comuni vicini che hanno sofferto il conflitto. Bisogna evitare la spaccatura tra sunniti moderati libanesi e palestinesi moderati. La nostra visione è un fronte di moderazione che va costruito insieme. Ma gli aiuti in Libano in questi due anni sono stati spalmati in modo equilibrato sul territorio, tenendo conto delle esigenze di tutte le comunità e regioni, con particolare riguardo alle sacche di povertà, in coordinamento col governo centrale e le amministrazioni locali”.
Il Ross è stato finanziato per la terza volta, arriverà così a 33 milioni di euro. Perché?
“Si tratta di una scelta dell’Italia per portare a termine i programmi, ma è ad esaurimento. Il Ross prevede anche la ricostruzione sociale e, innovazione principale, la sua flessibilità ci ha permesso dopo gli eventi di Nahr el-Bared, di portare per primi pasti caldi e giocattoli per i bambini ai palestinesi trasferiti nel campo di Beddawi. Grazie al Ross e al canale bilaterale ci sono programmi di eccellenza come quello dell’Arci con la Fondazione René Moawad a Tripoli, per il recupero dei bambini lavoratori che possono proseguire il loro percorso professionale all’Istituto Tecnico Don Bosco. In un Paese politicamente complesso, uno dei modi per essere credibili è mostrare che noi aiutiamo tutti a prescindere dal dato politico da gestire ad un altro livello. Sarebbe miope valutare gli investimenti in termini di ritorno economico: il Libano, dove tutte le comunità sono protagoniste, compresi i cristiani, ha nella sua multiconfessionalità un valore aggiunto e il mantenimento di questo mosaico contribuisce al dialogo interconfessionale in Medio Oriente”.
C’è coordinamento con il contingente Unifil?
“Il dialogo è costante. Lo sforzo è quello di mirare gli aiuti; la ristrutturazione della scuola pubblica mista di Tiro e dell’ospedale di Tibnine sono esempi della sinergia tra la cooperazione e la Cooperazione Civile e Militare dei caschi blu italiani, un contributo ad accrescere il consenso intorno al nostro contingente. Da poco sono iniziati i corsi di Italiano a Sud del Litani ed è stato aperto un ufficio di cooperazione a Tiro che costituisce un punto di riferimento”
Paginate sulla stampa libanese di tutti gli orientamenti, anche di riconoscenza, ma qual è l’impatto sulla popolazione?
“C’è un apprezzamento straordinario dell’Italia.La cooperazione è uno strumento di politica estera in questo paese piccolo e fragile, che si somma alla presenza del nostro contingente Unifil, per dimostrare che siamo vicini al Libano su un terreno diverso da quello politico senza condizionare i processi interni”.
Il 21 novembre, festa dell’indipendenza del Libano, il concerto al Serail, sede del governo, è stato affidato all’Italia, unico Paese ad avere questo privilegio.
6 gennaio 2009