Irene Puca 

Dopo l’ondata di attacchi terroristici dal 2003 l’Arabia Saudita ha iniziato una campagna contro l’estremismo. Il punto centrale della campagna iniziata dall’Arabia è l’uso di formule soft non convenzionali per combattere il terrorismo e le sue giustificazioni. L’obiettivo principale di queste misure straordinarie è contrastare l’idea che il governo saudita sia basato su una visione dell’Islam deviata e corrotta. Questa volontà di utilizzare misure leggere viene dalla consapevolezza che l’estremismo non si può combattere con i mezzi usuali, ma ha bisogno di misure speciali. Con le nuove misure si stanno ottenendo buoni risultati, per esempio i recidivi che sono stati arrestati di nuovo sono solo l’1 o 2%. Le misure soft arabe hanno lo scopo di far comprendere quali sono le ragioni che hanno portato allo sviluppo degli estremismi, sperando di poter evitare future degenerazioni religiose. La maggior parte delle persone che sono state rilasciate applicando le nuove misure non sono state arrestate nuovamente, confermando così la loro validità. Per aumentare l’efficacia della propaganda sulle misure, il governo arabo ha anche iniziato una campagna via internet, per attirare maggiormente l’attenzione delle persone e spingerle a combattere il radicalismo.

Lo scopo dello stato è quello di convincere le persone che si sono lasciate traviare dall’estremismo a tornare al punto di partenza, a cambiare idea e renderle consapevoli dei loro errori. Le misure di sicurezza tradizionali non sono sufficienti per distruggere il terrorismo. Le strategie che il governo saudita intende adottare sono spiegate nel piano PRAC Strategy, formato da tre programmi distinti ma legati fra loro, che prevedono misure per impedire alle persone di entrare in contatto con l’estremismo, per promuovere la riabilitazione degli estremisti e di tutte le persone da loro coinvolte e per facilitarne la reintegrazione nella società dopo il rilascio. La campagna anti-terrorismo è diretta dal Principe Muhammad bin Nayef Muhammad, responsabile del servizio di sicurezza interno, che comprende anche le misure anti-terroriste.

Molte parti del PRAC Strategy sono organizzate dal Principe Muhammad, che guida anche un’unità di sicurezza ideologica che fornisce informazioni e strategie per eliminare gli estremismi. Oltre al Ministero degli Interni collaborano alla realizzazione del progetto altri ministeri, come il Ministero degli Affari Islamici, dell’Educazione, della Cultura e dell’Informazione, del Lavoro e degli Affari Sociali. L’ufficio del Principe Muhammad si occupa frequentemente di fornire materiale e risorse ad altre agenzie governative. Gli sceicchi devono assicurare ai prigionieri un trattamento giusto, evitando torture e abusi. Durante il periodo in prigione è possibile effettuare letture Islamiche e del Corano, indagare se ci sono sospetti di estremismo con dibattiti sull’ideologia.

Il programma di recupero prevede anche che una volta rilasciati i prigionieri, essi siano inseriti in un programma di riabilitazione, con corsi scolastici e professionali per trovare un lavoro e facilitazioni per chi ha una famiglia e dei figli. La maggior parte delle attività che sono state organizzate per queste persone sono pensate per tenerle occupate e lontane dai radicali. La maggior parte delle volte, infatti, le persone si convertono al radicalismo e all’estremismo perchè vengono a contatto con nuove ideologie e si lasciano convincere. Il Ministero dell’Istruzione ha promosso delle letture nelle scuole per educare gli studenti e metterli in guardia dal pericolo estremista. Per rieducare i prigionieri il programma del PRAC prevede non punizioni o ricompense, ma la presunzione di benevolenza. Si deve partire dal presupposto che chi si è convertito all’estremismo è stato convinto dalle parole di qualcun altro, perciò bisogna dargli aiuto come vittima, non una punizione come colpevole. Membri della chiesa si occupano del recupero, di parlare con i prigionieri e della loro rieducazione. Il Comitato di Consulto non rivela i nomi degli sceicchi e degli studiosi che partecipano, perché preferiscono rimanere anonimi, per poter lavorare tranquillamente.

Il Sottocomitato Psicologico e Sociale è composto da 50 psicologi, psichiatri, sociologi e ricercatori. Tutti sono responsabili di valutare lo stato dei prigionieri e il loro comportamento, diagnosticare problemi psicologici e cercare soluzioni. I sociologi e gli psicologi interagiscono continuamente con i detenuti e tengono sotto controllo i progressi. Il Sottocomitato deve anche provvedere a quello di cui le famiglie dei detenuti potrebbero avere bisogno durante il periodo di detenzione e successivamente. Il governo saudita infatti cerca di convincere le persone che gli estremisti in realtà si occupano del singolo, ignorando le famiglie. Dopo la fine dei trattamenti i membri del Comitato mantengono i contatti con i detenuti, con visite periodiche per assicurarsi che tutto proceda bene. Per prepararsi al meglio al compito a loro affidato, tutti i membri del Comitato hanno effettuato numerose ricerche anche su internet.

È emersa una storia in particolare che ha attirato l’attenzione degli studiosi: è il caso di un giovane saudita, che era stato reclutato per un attentato, non sapendo però che sarebbe stato un attacco suicida. Quando il ragazzo ha capito la verità si è tirato indietro, ha deciso di rinunciare, ma gli estremisti lo hanno costretto e hanno fatto esplodere le bombe con un telecomando. Il ragazzo è sopravvissuto, ma è rimasto sfigurato. È entrato a far parte del programma e il messaggio che gli studiosi hanno voluto dare raccontando la sua storia è che lasciarsi coinvolgere dai terroristi ha conseguenze tragiche per i singoli ma anche per le famiglie. Dagli studi svolti sui detenuti, è emerso che la maggior parte di loro non ha avuto nell’infanzia una buona educazione religiosa, viene da famiglie molto numerose di ceto medio- basso, è molto giovane e i genitori non hanno una buona formazione culturale. Da altre indagini è emerso che molti di loro sanno poco o quasi niente dell’Islam e quello che li ha portati ad avvicinarsi all’estremismo è il desiderio di riavvicinarsi alla religione, attirando estremisti che hanno fornito loro una visione corrotta e sbagliata.

Non avendo mai avuto un approccio giusto con la fede, sono più vulnerabili e più esposti alla propaganda estremista. In genere sono persone depresse, frustrate, che si sentono fallite e cercano di diventare qualcuno di importante arruolandosi e combattendo. Il Comitato propone due programmi. Il primo consiste in corte sessioni di più o meno due ore. Il secondo programma è composto da corsi di sei settimane tenuti da ecclesiastici e sociologi per 20 studenti. Vengono affrontati 10 temi, fra cui i takfiri (gli estremisti), walaah (lealtà) e bay’ah (fedeltà), terrorismo, le leggi della Jihad e corsi psicologici per l’autostima. Al loro arrivo, ai prigionieri viene consegnata una borsa con dei regali come vestiti, un orologio digitale, materiale scolastico e per l’igiene. Sono spinti a chiedere il loro cibo preferito, possono giocare con Playstation, reti da pallavolo, con tavoli da pingpong e calcio. Nonostante qualche eccezione gli uomini indossano i vestiti regalati e continuano a portare la barba. Molti sembrano spaesati o assenti, ma è dovuto al fatto che sono spinti a pregare la maggior parte del tempo.

Si pratica terapia con l’arte, perché è un modo sicuro per esprimere le proprie emozioni e le proprie idee. Si incoraggia la discussione di gruppo, chiedendo agli uomini di parlare delle loro esperienze e di condividerle con gli altri. Quando i detenuti capiscono gli errori commessi e si allontanano dai principi a cui avevano aderito, lo Stato si occupa di trovare loro un lavoro, una casa, un’auto, per consentire la regolare ripresa della vita. In particolare il Principe Muhammad si è occupato della riabilitazione dei prigionieri di Guantanamo. Riguardo a loro, molte persone pensano che avranno molto odio dentro di sé, ma come spiegano alcuni, non è così, perché dopo la terapia l’unica cosa a cui pensano è il futuro, non il passato. Altri invece hanno raccontato che in Iraq non sono stati bene, perché hanno trovato musulmani che combattevano contro altri musulmani, senza organizzazione. Per le nuove reclute non si effettua più neanche l’addestramento, vengono mandati direttamente a farsi esplodere.

La speranza che accompagna l’attuazione del programma è che anche tutti gli altri paesi arabi applichino le stesse misure, per riuscire a mettere fine all’estremismo. Se gli altri paesi decidessero di prendere esempio dall’Arabia Saudita sarebbe il primo passo verso il cambiamento, perché si comincerebbe a dichiarare pubblicamente che l’estremismo è una cosa da combattere, non con cui convivere.

22 dicembre 2008

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