Emanuela Ulivi
Non è stato un appuntamento di routine: le questioni sul tappeto della 39° riunione del Consiglio di Cooperazione del Golfo, a Riyad domenica scorsa, ormai vanno ben oltre i confini regionali. Dai rapporti delle petromonarchie con l’Iran, all’affaire Khashoggi, alla guerra nello Yemen, alla Siria, alla questione palestinese scomparsa dalle agende più in vista. Cui aggiungere i rapporti col Qatar, isolato dal giugno 2017 da Arabia saudita, Emirati, Bahrein e Egitto perché accusato di sostenere alcuni gruppi terroristici e di avere un asse preferenziale con l’Iran. Iran, ha ribadito re Salman d’Arabia, che continua a intromettersi negli affari dei paesi della regione.
Uscito di recente dall’OPEC, l’organizzazione dei paesi esportatori di petrolio dominata dai sauditi, pur invitato ufficialmente da Riyad, il Qatar è stato rappresentato non dall’emiro Al-Thani ma dal numero due della diplomazia, Sultan al-Merrikhi, restituendo in un certo senso la pariglia alla riunione del CCG ospitata dal Kuwait nel 2017, dove Arabia saudita, Emirati e Bahrein avevano inviato i loro ministri degli esteri. Per contro, la questione dei rapporti col Qatar non compare nel comunicato finale della riunione del CCG, ma è tutt’altro che secondaria. Il Kuwait, che insieme all’Oman non è entrato in collisione con Doha confermando il suo – riconosciuto - ruolo di mediatore, ne ha evidenziato la portata auspicando la fine di quella che ad oggi rappresenta la crisi più grave nella storia del Consiglio. “L’ostacolo più dannoso col quale confrontarci è il conflitto interno al CCG, una minaccia per l’unità e gli interessi del nostro popolo”, ha ammonito l’emiro Sheikh Sabah Al Ahmad Al Jaber Al Sabah nel discorso di apertura. “Siamo consapevoli – ha aggiunto – della situazione della regione e delle sfide molto serie che abbiamo davanti, dell’escalation allarmante, che ci richiamano ad una riflessione sulla nostra unità e a rafforzare un’azione unitaria per sostenere il nostro cammino”. L’emiro si è poi soffermato sulla guerra nello Yemen, un conflitto che rappresenta una “minaccia diretta”, auspicando un esito positivo dei colloqui in Svezia. Quello che non è accaduto nel 2016, quando il Kuwait ospitò altri colloqui, sempre sotto l’egida dell’ONU. Sostegno anche dal CCG agli sforzi dell’inviato delle Nazioni Unite Martin Griffiths, promotore dei colloqui in corso a Rimbo, a nord di Stoccolma.
Parole chiare sullo Yemen, dove dal 2015 è in corso l’offensiva della Coalizione araba contro gli sciiti Houti sostenuti dall’Iran, guidata dai sauditi a fianco del presidente Abd Rabbo Mansour Hadi, riconosciuto dalla comunità internazionale, quelle pronunciate da re Salman, che ha difeso l’intervento della coalizione. E su quella che l’ONU ha definito la peggiore crisi umanitaria mondiale, ha precisato che la coalizione “ha operato per ridare speranza alla popolazione yemenita attraverso programmi di assistenza umanitaria e di soccorso, allo scopo di raggiungere una soluzione politica”.
Una soluzione politica è stata auspicata dal CCG anche in Siria, per chiudere coi combattimenti e la guerra, costituendo un governo di transizione garante dell’unità del paese e allontanando le forze straniere e i gruppi terroristici dal territorio siriano. Nuove relazioni anche con l’Iraq, definito un pilastro del sistema di sicurezza araba. Nei sette punti della dichiarazione finale del meeting di Riyad figura il sostegno alla causa palestinese e ai diritti legittimi del popolo palestinese. L’ingombrante questione dell’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi, ucciso il 2 ottobre scorso nel consolato saudita di Istanbul, per il quale la Turchia e gli Stati Uniti hanno chiamato in causa il principe ereditario Mohammed ben Salman, liquidata dal ministro degli esteri Adel al Jubair col rifiuto dell’estradizione in Turchia degli imputati, ha riunito tutti i paesi del CCG nel sostegno all’Arabia saudita e a qualunque attentato alla sua sovranità e sicurezza.
Unità è stata quindi la parola d’ordine dei paesi del CCG, per fronteggiare dei dossier sì regionali ma che dal 2011 sono sui tavoli delle potenze mondiali, ed avere perciò un peso e un ruolo. Gli obiettivi che si sono fissati sono infatti una politica estera unificata per proteggere gli interessi degli stati ma anche per evitare conflitti regionali e internazionali, proponendosi di rafforzare la cooperazione strategia, politica, securitaria ma anche culturale, tra i paesi del CCG e la comunità internazionale. Chiamando in causa i cittadini, il loro ruolo nell’economia, le donne imprenditrici in particolare, le famiglie, il volontariato, contribuendo tutti allo sviluppo.
12 dicembre 2018