Giulia Brugnolini 

Dalle regioni mediterranee proviene il 97% della produzione mondiale di olio d’oliva: il nettare d’oro, come lo definiva il poeta Omero. Un trend destinato ad aumentare visto che nel nord della Giordania la quantità di olive frante cresce ogni anno del 5% e nel 2012 il Regno ha prodotto oltre 35.000 tonnellate di olio d’oliva, rispetto alle 27.000 dell’anno precedente. Nonostante il terreno sia per lo più desertico, coi suoi 20 milioni di olivi la Giordania si annovera tra i primi otto produttori di olio di oliva al mondo. Il consumo pro capite si attesta intorno ai tre chili e mezzo all’anno e le eccedenze vengono esportate, in particolare verso le monarchie del Golfo e gli Stati Uniti.

Con la quantità di olio crescono anche gli scarti, costituiti da sansa esausta e acqua di vegetazione, in arabo zebar: nove milioni di tonnellate ogni due milioni di tonnellate di olio prodotte, che da sempre sono stati sversati ai lati dei campi con conseguenze sempre più critiche per lo stato di salute del terreno, delle riserve idriche e quindi dei raccolti. Per questo l’Università di Scienza e Tecnologia del Regno degli Abd Allāh ha aperto le porte alla sperimentazione di tecnologie innovative da tutto il mondo per il riutilizzo dello zebar.

La pratica di sversare l’acqua residua ai lati del campo, “poteva funzionare finché il terreno era abbastanza drenante e c’era abbondanza d’acqua, ma con la progressiva riduzione delle riserve idriche e la crescita della produzione di olio, la natura non è più riuscita ad assorbire gli scarti”, ha spiegato Munir Rusan, professore dell’Università di Scienza e Tecnologia di Irbid, in Giordania, e portavoce del progetto di cooperazione internazionale MEDOLICO patrocinato dall’Unione Europea, del quale fanno parte anche l’Italia, il Portogallo e Israele: L’alternativa allo smaltimento nel terreno rimane infatti lo stoccaggio in appositi siti, ma gli stabilimenti legalmente autorizzati arrivano a chiedere agli agricoltori fino a 16.000 euro all’anno per questo servizio. Il progetto invece, guardando anche agli aspetti economici oltre a quelli ambientali, punta a fare dello scarto una risorsa da cui trarre profitto. L’Università di Irbid ipotizza la depurazione dello zebar e il suo riutilizzo per l’irrigazione o per la concimazione, ma si valuta anche l’ipotesi di farne un combustibile da bruciare negli impianti a biomassa per la produzione di energia, come già sperimentato con successo in Italia. 

Il progetto è già iniziato; dal Portogallo sono arrivate ad Irbid le centrifughe sperimentali per separare i composti chimici di scarto dall’acqua con la quale verranno irrigate le serre messe a disposizione dall’Università, per compiere dei test di fattibilità. "Stiamo cercando di abbattere i costi della produzione del più delicato olio d’oliva del mondo”, ha dichiarato il prof. Rusan, “ma lo faremo in maniera efficiente e sostenibile”.

1 Maggio 2013

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