Emanuela Ulivi 

Dopo una serie di rinvii siamo forse al rush finale del lungo percorso verso l’unione doganale, la Gulf Customs Union, tra i sei stati del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti). Un deciso impulso ad un’unificazione che servirà a creare una zona di libero scambio sia tra i Paesi membri che a livello internazionale, è stato dato infatti dai ministri delle finanze dei Paesi del CCG riuniti sabato scorso a Kuwait City. “Restano da affrontare solo questioni di carattere amministrativo sul passaggio delle merci tra gli stati membri”,  ha fatto sapere al termine dell’incontro il segretario generale aggiunto per gli affari economici, Mohammed al-Mazroui. Minimizzati quindi i problemi che fin’ora hanno rallentato il percorso, mentre è stata reiterata la volontà di arrivare finalmente non solo all’unione doganale ma anche ad una legislazione comune in materia. 

Pur concordando sulle opportunità derivate da una free trade area infatti, la concretizzazione dell’unione  doganale si trascina dal 2003, anno in cui è stata lanciata dal documento approvato nella sessione del CCG del 2002 che prevedeva dei periodi di transizione per assicurare alle amministrazioni doganali e agli stati membri i tempi necessari all’adeguamento alla nuova impostazione degli scambi e al superamento di eventuali difficoltà lungo l’iter fissato. 

A provocare il ritardo, le divergenze sugli introiti, sul dumping e sul protezionismo. Proprio a settembre i sei Paesi avevano deciso ancora una volta di rimandare l’attuazione dell’unione doganale per altri tre anni, visto il disaccordo sulla distribuzione delle entrate e i problemi di conformità coi regolamenti dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.

Un sistema elettronico dovrebbe ora regolare i diritti di dogana tra i sei Paesi, mentre il comitato per l’unione doganale è stato incaricato di controllare i meccanismi dell’unione per i prossimi cinque anni, come ha riferito al-Mazroui aggiungendo che sono stati approvati anche degli emendamenti al testo della legge antidumping come richiede il WTO.

Ma quel che più conta è la volontà di superare gli ostacoli. Il rinvio deciso a settembre aveva sollevato non pochi dubbi: al di là dei buoni propositi degli stati del CCG, emergeva la mancanza di una chiara definizione dei passi da compiere per metterli in pratica. 

Stando agli analisti sono diverse le opportunità mancate in una regione che conta 40 milioni di abitanti e che a livello economico non può che trarre beneficio da un approccio coordinato. Un esempio lampante è l’integrazione delle Borse dei Paesi del CCG, ognuna delle quali ha le proprie regole, poca liquidità -ad eccezione dell’Arabia Saudita- ed è troppo piccola per attrarre ulteriori investimenti esteri. Cosa che  mette in difficoltà l’intera regione. Nel 2008 è stato anche istituito il mercato comune, che però è ben lungi dall’essere operativo, tra dispute alle frontiere che impediscono il libero scambio delle merci e aumentano i costi dei privati. 

Obiettivi comuni messi a rischio anche da una forte competitività in vari settori, dal turismo ai servizi finanziari, ai settori petrolifero e industriale, alla logistica e al commercio, persino nello sport con due Gran Premi di Formula 1, ad Abu Dhabi e in Bahrein, mentre un coordinamento nei vari settori dell’economia, suggeriscono, creerebbe una massa critica di rilievo regionale e globale.
In gioco c’è forse qualcosa di più, come osserva l’economista degli Emirati Mohammad Al Asoomi: “La domanda è sempre la stessa: il Golfo ha bisogno di un organismo come la Lega Araba o ha necessità di un blocco che rafforzi la sua collocazione nella geografia economica alla luce dei recenti sviluppi nelle relazioni internazionali, specialmente con la nascita dell’Organizzazione Mondiale per il Commercio, e delle ripetute crisi economiche, finanziarie, energetiche e alimentari? La seconda è la più importante e la più corretta”.
E, in vista della consueta riunione di dicembre del CCG, conclude:”Spero che il summit di Abu Dhabi costituisca un nuovo punto di partenza per il blocco, allo stesso modo in cui la prima riunione ad Abu Dhabi segnò l’inizio della cooperazione, dalla quale i Paesi del Golfo hanno tratto diversi vantaggi e conquiste”.

La sfida è quindi aperta per i Paesi del CCG coi quali si è incontrato, in concomitanza con la riunione in Kuwait, il primo direttore generale aggiunto del FMI, John Lipsky, che ai  ministri delle finanze e ai governatori delle banche centrali dei sei Paesi ha confermato la ripresa economica solidamente avviata nel Golfo, invitandoli a rilanciare il credito e a rinforzare il settore finanziario.

Lipsky, che ha anche firmato col ministro delle finanze kuwaitiano Mustafa Al-Chamali un accordo per l’istituzione in Kuwait di un Centro FMI-Medio Oriente per l’Economia e la Finanza (CEF), finanziato dall’emirato, che sarà inaugurato a maggio 2011 e affiancherà a livello decisionale e operativo le politiche macroeconomiche e finanziarie dei Paesi della Lega araba.   

11 Novembre 2010

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