Edvine Bortolomiol
La Cina di oggi sta progressivamente diventando uno degli attori di maggior rilievo nel panorama politico ed economico del Mediterraneo. Il suo ruolo di crescente potenza industriale fa del Paese Asiatico uno dei principali partner commerciali della regione non soltanto nel settore dell’Import-Export, ma anche e soprattutto in quello della ricerca e degli investimenti mirati. Di fatto, gli investimenti cinesi si sono estesi al di là del settore degli idrocarburi, interessando ambiti diversi come quello minerario, cementifero, chimico, automobilistico, mediatico ecc. Tra il 2003 ed il 2006, la Cina ha investito nei paesi mediterranei, circa 1.475 milioni di euro, i più dei quali in Algeria, Egitto, Siria, Giordania, Israele e Turchia. I rapporti intrecciati da Pechino, sia a livello politico che economico, hanno subito in quest’ultimo periodo una repentina accelerazione, tanto che la creazione di realtà come il Forum sino-arabo ed il “China-Kuwait Investiment Forum” dimostrano come la Cina stia adottando una strategia di penetrazione economica consapevole ed organica. Non è da sottovalutare, inoltre, la cautela politica adottata dal governo di Pechino. Il non aver adottato nessuna posizione netta riguardo al conflitto israelo-palestinese e sulle altre questioni politiche regionali, le permettono infatti di mantenere relazioni amichevoli con tutti i paesi dell’area e, più importante, di sfruttare la regione come fonte di risorse energetiche e come sbocco commerciale. Questa progressiva penetrazione unita ai sempre più ingenti investimenti hanno favorito, a partire dagli anni novanta, un’accelerazione nei rapporti economici, fino al boom dell’ultimo quinquennio. Nel solo 2007, infatti, si è registrato un incremento delle esportazioni cinesi verso il Medio Oriente del 48%. Basta considerare che ad oggi Iran e Arabia Saudita esportano circa i 2/3 del fabbisogno cinese di petrolio. Senza dubbio la motivazione principale di questi rapporti è quella energetica.
La Cina, infatti, per sostenere una crescita economica di oltre un 9% annuo, sta cercando di assicurarsi il primato nelle esportazioni di petrolio e gas. Quindi la necessità di idrocarburi da parte dell’industria ha spinto la Potenza Asiatica a stringere legami ed accordi con stati boicottati da gran parte della comunità internazionale e ad assumere un ruolo politico e commerciale di rilievo nell’area, tanto che, come ha sottolineato il vice-direttore dell’Energy Research Institute of China’s National Development and Reform Commission, Han Wenke, la Cina dovrebbe “far uso del suo potere contrattuale, per rafforzare la cooperazione internazionale, a livello politico, economico, commerciale e diplomatico, con i maggiori produttori ed esportatori di petrolio”. Di conseguenza hanno assunto un ruolo centrale nella strategia cinese i legami economici con i ricchi paesi del Golfo Persico. Nel luglio 2004 i Ministri delle Finanze dei sei Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG – Arabia Saudita, Kuwait, Qatar, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Oman) hanno siglato con la Cina un accordo di massima per la cooperazione e gli scambi commerciali di informazioni tecniche ed industriali, tanto da far auspicare la creazione di una vasta zona di libero scambio tra le due realtà. La politica di Pechino vede il Medio Oriente non solo come fonte di energia petrolifera, ma anche come un potenziale ad ampio mercato verso il quale indirizzare i propri prodotti e servizi. Già nel 1979 alcune compagnie cinesi presero accordi con i paesi membri del CCG, ma è dal 2001 che la Cina è riuscita a siglare oltre tremila contratti in diversi settori di investimento in tutti e sei i paesi del Consiglio. L’inizio di questa manovra di mercato ha avuto inizio nel 1983 quando la Sinopec (una delle più grandi compagnie petrolifere cinesi insieme alla Petrochina) dette avvio a delle trattative con il Kuwait. Da allora la Cina ha iniziato ad investire sempre di più nel settore petrolifero, in particolare in Egitto, Qatar e Oman.
Al momento, quindi, Cina e mondo Arabo sono uniti principalmente dal petrolio (circa il 44% del prodotto esportato), da gennaio a novembre 2005 Pechino ha importato ben 50,52 milioni di tonnellate di greggio e gli scambi commerciali (di altra natura rispetto a quella petrolifera) hanno raggiunto un volume pari a 46,38 miliardi di dollari. Questo delinea un panorama politico-commerciale molto simile ad un do ut des dell’economia: petrolio in cambio di manufatti, materie prime in cambio di prodotti finiti. La Cina però non si è solo concentrata sul settore degli idrocarburi, ma ha proposto investimenti ad ampio raggio rivolti alla ricerca (soprattutto per quanto riguarda il nucleare e la produzione di bioetanolo, di cui Cina e Arabia Saudita sono i maggiori finanziatori mondiali), alla cultura - nel 2006 la Cina ha affidato alla tecnologia di conservazione archeologiche egiziane la salvaguardia e la conservazione dei propri libri antichi – ed allo sviluppo agricolo. I Paesi Mediorientali sono terreni fertili per investire l’enorme surplus finanziario che la Cina sta accumulando grazie alla sua crescente macchina industriale. Non è da sottovalutare, inoltre, il fatto che il Medio Oriente è strategico per natura, al crocevia delle più importanti vie commerciali e culturali, sia verso l’Europa che verso l’Africa. A tal proposito, l’Egitto ha più volte manifestato il suo interesse nello “essere la porta della Cina verso l’Europa, l’Africa ed il Medio Oriente”, come ha affermato il Ministro del Commercio e dell’Industria egiziano Rachid Mohammed Rachid. Questa prospettiva di allargamento degli interessi e dei commerci cinesi nel mondo arabo ha coinvolto più da vicino anche il Kuwait. Nel maggio 2008 è stato indetto il “China-Kuwait Investiment Forum” che avrà la sua seconda fase di colloqui nel Novembre del 2008 (18-22 Novembre a Pechino e Shanghai).
Lo scopo dichiarato è quello di creare dei legami forti e stabili tra i due paesi per promuovere piani e progetti di reciproco interesse commerciale e non solo. Questo semplice quadro mostra il nuovo attivismo della Cina in Medio Oriente sotto tutti i profili, a partire da quello economico fino a quello politico e diplomatico. Questa nuova realtà rappresenta una grande sfida per i paesi coinvolti, non solo se si considerano questioni energetiche o di sfruttamento petrolifero, ma più in generale nella creazione di un sistema economico liberale ed impegnato nella ricerca, nell’efficienza produttiva e nella massimizzazione finanziaria. La presenza di un nuovo competitor nell’area del Mediterraneo rappresenta una sfida anche per il sistema comunitario Europeo che, grazie agli accordi di Barcellona ed ai progetti Euro-Med e Meda, cerca di porsi come partner principale nel dialogo tra Occidente e Medio Oriente, tra industria e risorse.
30 giugno 2008