Tratto dal sito www.oasicenter.eu
Chiara Pellegrino
Tutta la stampa araba si è trovata unita nel tessere le lodi dell’emiro del Kuwait shaykh Sabāh al-Ahmad al-Sabāh, spentosi il 29 settembre scorso. Una rassegna di quello che hanno scritto i principali quotidiani alla morte dell’ex-diplomatico.
In un tempo in cui Medio Oriente e Nord Africa sono segnati in profondità dalla spaccatura geopolitica che oppone il fronte a guida turco-qatarina, favorevole all’Islam politico, e il blocco saudita-emiratino, più incline all’autoritarismo anti-islamista, sono poche le figure che riescono a sottrarsi alla logica della polarizzazione. Una di queste è stato lo shaykh Sabāh al-Ahmad al-Sabāh, l’emiro che ha guidato il Kuwait per quattordici anni svolgendo, in più di un’occasione, il ruolo di mediatore tra le parti. All’anziano leader, morto il 29 settembre scorso a 91 anni, i leader dei Paesi arabi hanno riconosciuto all’unanimità grandi abilità politiche e diplomatiche, e la capacità di mantenere la neutralità pur vivendo in una zona particolarmente conflittuale del Medio Oriente. Emiro dal 2006, shaykh Sabāh al-Ahmad aveva alle spalle una lunga carriera politica, che gli è valsa l’appellativo di «decano dei diplomatici».
L’apprezzamento trasversale per il suo operato ha trovato espressione in media e istituzioni religiose della regione, solitamente utilizzati dai due campi in conflitto come strumenti della loro battaglia ideologica.
Il quotidiano pan-arabo Al-Sharq al-Awsat, vicino all’Arabia Saudita, ha ricordato l’emiro come «un uomo schiacciato dalla politica fin dalla gioventù». È vero infatti che shaykh al-Sabāh ha assunto il suo primo incarico politico all’età di 25 anni, precisamente nel 1955 quando fu nominato capo del Dipartimento per gli affari sociali e il lavoro, e che, a questo primato, ne sono seguiti molti altri: oltre a essere il 15esimo emiro nella storia del Kuwait, il 5o dall’indipendenza dalla Gran Bretagna acquisita nel 1961, è stato anche il primo ministro dell’Informazione nella storia del Paese, e ministro degli Esteri dal 1963 per oltre 40 anni.
Ancora Al-Sharq al-Awsat celebra la personalità semplice e spontanea dell’emiro, e la vita vissuta «lontana dal manierismo, dal formalismo e dal lusso». Uno stile di vita raccontato dall’emiro stesso e di cui il quotidiano riporta in finale le parole: «Uso sempre questo metodo e consiglio a tutti di non lasciarsi trarre in inganno dal denaro. Da questo non si trae alcun beneficio, mentre si trae giovamento dalla buona intenzione e dall’essere persone semplici, con sé stessi e con gli altri».
Le doti umane di shaykh Sabāh al-Ahmad sono state celebrate anche dal quotidiano emiratino al-Ittihad, che ha ricordato il rapporto d’eccezione e di lunga data che legava il «principe dell’umanità» alla famiglia regnante di Abu Dhabi. Al-Sabāh, infatti, è stato l’unico rappresentante politico del Golfo a partecipare all’alza bandiera che nel 1971 sanciva la nascita degli Emirati Arabi Uniti.
Nella poesia dedicatagli dallo scrittore e poeta emiratino ‘Alī Abū Rāshid, al-Sabāh ha un posto tra le stelle del firmamento e viene celebrato nelle vesti di «politico eccezionale, le cui doti hanno aleggiato su tutto il mondo arabo». «L’emiro della tolleranza – si legge – ha guidato un Paese che si è sempre speso per un mondo che non fosse scosso da disastri politici e venti ideologici. Fin dall’inizio il Kuwait è stato la valvola di sicurezza in una regione araba esplosiva, che ha subito l’azione di correnti ideologiche spietate e sterili».
Dall’Arabia Saudita Re Salman ha twittato un messaggio di condoglianze al popolo kuwaitiano: «Con la morte di shaykh Sabāh al-Ahmad al-Sabāh ho perso un caro fratello, un amico prezioso e una grande personalità per la quale nutro grande stima. Manca al suo popolo così come manca a noi; la storia lo renderà immortale perché ha dedicato la vita al suo Paese e alla nazione araba e islamica».
Lo shaykh di al-Azhar ha pianto la perdita di «un leader saggio e leale, difensore della pace e del dialogo tra i popoli, che ha lavorato per la rinascita del suo Paese e ha servito le cause della nazione araba e islamica e che, per questo, merita il titolo di ‘Principe dell’umanità’».
Che shaykh al-Sabāh sia stato una figura conciliante, lo testimoniano i segni di apprezzamento arrivati anche dall’altro fronte, quello qatarino. L’Unione mondiale degli Ulema, che ha sede a Doha, ha manifestato il suo rammarico per la morte dell’emiro, che «ha lasciato un grande vuoto in Kuwait, nel Golfo e in tutta la nazione araba in un momento in cui la nostra umma aveva un disperato bisogno di esempi come lui». Il comunicato prosegue definendo l’emiro un uomo saggio, che amava il suo popolo e ha saputo mettere in cima alla lista delle sue priorità le cause della nazione arabo-islamica, in primis quella palestinese. L’Unione ricorda con riconoscenza anche i tentativi di al-Sabāh di ripristinare l’unità del Golfo venuta meno nel 2017 con la crisi del Qatar.
Similmente, il sito dell’emittente panaraba al-Jazeera commemora la posizione d’eccezione che l’emiro del Kuwait era riuscito a conquistarsi presso la famiglia regnante di Doha, soprattutto in virtù del ruolo di mediazione svolto da al-Sabāh, nonostante le difficili condizioni di salute, nel conflitto che oppone il Qatar al quartetto composto da Arabia Saudita, Emirati, Egitto e Bahrein.
Segni di apprezzamento per l’operato dell’emiro arrivano anche dal Maghreb. Per esempio il re del Marocco Muhammad VI ha ricordato la storica dedizione del Kuwait alle cause arabe, la neutralità e la solidarietà che hanno caratterizzato la leadership di al-Sabāh e le importanti conquiste economiche e politiche realizzate dal Paese durante il suo regno. «La umma perde un leader saggio ed esperto, […] che non ha mai smesso di sostenere il suo secondo Paese, il Marocco, e consolidare i buoni rapporti tra i due Paesi».
Guardando al futuro
Una settimana dopo l’insediamento, il nuovo emiro Nawāf al-Ahmad al-Jābir al-Sabāh ha messo fine alle speculazioni sul nome del principe ereditario nominando alla carica shaykh Meshal al-Ahmad al-Sabah, fratello del defunto emiro e vice-capo della Guardia Nazionale dal 2004. Poche ore dopo, nella mattina dell’8 ottobre, la nomina veniva approvata all’unanimità dall’Assemblea Nazionale. A differenza delle altre monarchie del Golfo, infatti, in Kuwait il nome del principe ereditario è sì espresso dalla famiglia reale, ma è soggetto all’approvazione dall’Assemblea che deve esprimere il suo parere entro un anno dall’insediamento del nuovo emiro. Questi tempi da record sono evidentemente un segno dell’urgente necessità del Governo di dar prova di stabilità e solidità, evitando di mandare segnali di vulnerabilità.
Questa nomina peraltro conferma il superamento della tradizione che prevede l’alternanza alla leadership del Kuwait di due rami della famiglia degli al-Sabāh: gli al-Jābir e gli al-Sālim. Tale tendenza è in atto dal 2006, quando il neoeletto shaykh Sa‘d ‘Abdullah al-Sālim fu ritenuto non idoneo ad assumere l’incarico di emiro e dunque costretto dall’Assemblea Nazionale ad abdicare in favore di shaykh Sabāh appartenente, come il suo predecessore, al ramo degli al-Jābir.
Per la nuova leadership si prospettano mesi tutt’altro che facili. I disordini in Iraq e la vicinanza geografica dell’Iran, che peraltro condivide con il Kuwait alcuni giacimenti petroliferi offshore, sono una fonte di preoccupazione costante. Ma i timori arrivano anche dal fronte meridionale dove il Kuwait condivide con l’Arabia Saudita la cosiddetta «Zona neutrale», un territorio di oltre 5.000 km2 ricco di giacimenti di petrolio. Nonostante i ricavi derivanti dalla produzione del greggio vengano divisi equamente tra i due Paesi, la concorrenza di mercato ha più volte causato delle tensioni che nel medio periodo potrebbero inasprirsi a causa anche delle difficoltà economiche generate dalla pandemia e dalla diminuzione del prezzo del petrolio. Sul fronte della normalizzazione dei rapporti con Israele la situazione sembra essere più chiara: il Kuwait è determinato a mantenere la linea della neutralità. Fin dall’inizio, infatti, il governo ha preso le distanze dall’accordo e ribadito in più di un’occasione sulle pagine dei quotidiani locali che non intende cambiare posizione e «non vuole essere in alcun modo associato all’entità sionista».
Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
9 ottobre 2020