Il reportage di Libero da Kuwait City. Che cosa è cambiato dopo Saddam
Una donna cammina in mezzo alla strada che porta dritto al souk. Sotto braccio ha frutta e verdura. Scavalca un mucchio di rifiuti e macerie prodotte da una granata. In secondo piano un bimbo scalzo torna a pedalare con la propria bici, sventolando la bandiera nera, verde, bianca e rossa. Nella voce di chi descrive le foto esposte nella Libreria Nazionale di Kuwait City c'è ancora il brivido della paura, la rabbia per l'invasione irachena e la riconoscenza verso quei militari che esattamente 25 anni fa liberarono il piccolo Paese del Golfo dall' aggressione di Saddam Hussein. Seicentomila soldati americani. Poi canadesi, inglesi, sauditi, siriani e i nostri, gli italiani. I segni fisici di quei sette mesi sono scomparsi. Il Kuwait negli anni successivi ha speso 80 miliardi di dollari per ripulire la sabbia dal petrolio sversato, per bonificare i pozzi incendiati e costruire i grattaceli che oggi sono ricoperti di bandiere e di foto dei regnanti.
Ma dentro le ville, i kuwaitiani conservano le foto dei settemila morti e i racconti delle 17mila vittime di violenza e torture. Dimenticare non è nel vocabolario. Tanto che la torre più alta della capitale si chiama appunto Liberation Tower ed è l'edificio che raccoglie tutti gli sportelli pubblici, a cui i cittadini devono rivolgersi per qualunque pratica. Insomma, un simbolo che per 5 lustri si è voluto celebrare nella vita quotidiana e non solo una volta all' anno. Questo, il 2016, però raccoglie altri simboli e molte novità.
Cadono i 55 anni dall'indipendenza dalla Gran Bretagna e pure i dieci anni dall'incoronazione del principe Sheikh Nawaf Al-Sabah. Ma soprattutto, il piccolo colosso avvia una svolta drastica. Meno petrolio e più tecnologia. Il Kuwait conferma che l'era del petrolio a prezzo elevato è ormai finita per sempre e inizia a fare i conti con le conseguenze che sono di duplice natura: economica e geopolitica. Per il secondo anno di fila il governo certifica che il deficit ha lasciato posto al surplus.
La percentuale di Pil legata all'estrazione dell'oro nero dovrà così scendere entro il 2020 dall'attuale 55 al 34%. Al tempo stesso i circa 400 miliardi di dollari investiti all'estero dal fondo sovrano sono destinati a ritornare, almeno in parte, all'interno dei confini per finanziare i progetti di diversificazione del Pil.
A un'oretta di macchina a nord di Kuwait City, sul fronte opposto della baia, sorgerà una nuova città. Silk City, la città della seta, svilupperà una trentina di progetti. Solo due legati all'energia. Nel frattempo l'unico cantiere partito è quello del ponte da 48 chilometri che collegherà la new town con la capitale. Si percepisce che il denaro che sta rientrando in patria disinvestito dalle Borse potrà creare nuove opportunità anche per le nostre aziende. Per attirarle, il governo ha lanciato una nuova legge che consente il taglio della burocrazia e renderà più facile l'ingresso e l'uscita dei capitali. «Sta sorgendo un solo ente che diventerà interlocutore unico per tutti gli investitori», spiega Mona Salima Bseiso, advisor della Kuwait Direct Investment Promotion Authority, «come accade a Singapore o in Svizzera. Diventeremo più attrattivi. La strada è ormai avviata». E varrà la bellezza di 103 miliardi di dollari. Ma se la svolta economica è logica e lineare, le novità geopolitiche sono invece decisamente meno semplici.
La settimana dell'anniversario della Liberazione dalle truppe di Saddam si è aperta con un evento a cui hanno partecipato il ministro dell'Informazione e l'ambasciatore Usa, Douglas Siliman. «L'alleanza con gli Stati Uniti sarà per sempre incisa nella storia del Kuwait», ha tenuto a precisare Sheikh Salman Al-Sabah davanti a una delegazione di studenti, non a caso, della George Bush Library. I dati degli scambi commerciali e della spesa militare confermano il ruolo di alleato Usa. I contorni sono cambiati. L'Arabia Saudita che ieri ha vietato i viaggi in Libano ai propri cittadini dopo aver tagliato l'annuale elargizione di fondi a favore dell' esercito di Beirut, freme sempre più per un intervento in Siria. E da Paese filo-Usa che per decenni ha svolto la funzione di stabilizzatore ora si è trasformato in nazione incendiaria. Il Kuwait non può non farne i conti. È al centro geografico dell' intera area e, sebbene abbia approvato 10 miliardi extra per la spesa militare, ha lanciato messaggi tipici di chi vuole fare il mediatore.
L'emiro ha incontrato i vertici di Teheran e ha firmato un accordo storico per garantire la sicurezza delle acque comuni. Al tempo stesso si è schierato al fianco dell'Arabia Saudita nella condanna al Libano, considerato troppo vicino a Hezbollah, e nell'invio di truppe in Yemen.
«Non vogliamo prendere una parte nel problema», commenta a Libero il sottosegretario Tareq Eid Al-Mezrem, «perché vorrebbe dire diventare parte del problema. Cerchiamo interlocutori come l' Onu a cui rivolgerci per alleggerire i drammi della guerra in Siria e sostenere i profughi. Il nostro Paese è diverso da tutti gli altri. Abbiamo vissuto un dramma solo 25 anni fa e per questo continueremo a ringraziare chi all' epoca è stato al nostro fianco». Che sia un Paese diverso lo si percepisce dai colori e dalle sfumature. Kuwaitiane velate camminano al fianco di ragazze vestite all' ultima moda. Il parlamento ha una metà di deputati liberali. Uno di questi ha proposto l'introduzione degli alcolici e anche se la legge non è passata fa capire come i fratelli Musulmani facciano fatica a fare breccia qui.
È un difficile momento di transizione», ci spiega un candidato alle elezioni svoltesi domenica scorsa, «Siamo vicini ai Sauditi, ma gli estremisti avranno sempre meno spazio in Kuwait se riusciremo a usare i soldi che abbiamo accumulato per diventare un' economia liberale in grado di creare nuova ricchezza». Insomma, dal petrolio e dalla spesa pubblica, alla diplomazia degli investimenti mirati: il Kuwait come dovrebbe essere in futuro.
Dall'inviato di libero a Kuwait City
Claudio Antonelli.
25 febbraio 2016