Emanuela Ulivi
L’insulto, The Insult, premiato sabato scorso a Venezia con la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile a Kamel El Basha, attore di teatro palestinese alla sua prima prova sul set, è il film col quale il regista franco-libanese Ziad Doueiri ha ricordato al mondo l’altra faccia del Libano, colta e creativa, risaputa quanto trascurata dalla predilezione mediatica per la geopolitica di una regione in eterna fase di ristrutturazione. Il volto però di una società che stenta a guardarsi dentro e a fare i conti con quello che brucia ancora sotto la cenere, nonostante la guerra civile sia finita da quasi trent’anni.
L’euforia della bella notizia, arrivata appena conclusi i funerali di stato dei dieci soldati rapiti nel 2014 e uccisi dall’Isis –i cui corpi sono stati da poco recuperati dopo oltre due anni di attesa sulla loro sorte, al termine delle operazioni di Hebollah e dell’esercito libanese al confine con la Siria - è durata ben poco. Ziad Doueiri, celebrato con cinque minuti e mezzo, cronometrati, di applausi al Lido di Venezia, è stato arrestato all’aeroporto di Beirut al suo arrivo domenica sera, sequestrati i suoi passaporti libanese e francese. Per “intelligenza col nemico”. Un conto che risale a quando Doueiri girò in Israele le ultime scene del film L’Attacco, uscito nel 2012 e subito vietato nelle sale del Libano. La legge non prevede sconti; Israele è un paese nemico, col quale un negoziato di pace, una linea di confine ufficiale, la spartizione delle risorse idriche, sono questioni tutte da affrontare. E dire che per L’Insulto è stata già annunciata la corsa all’Oscar 2018 per il miglior film straniero, in rappresentanza del Libano con tanto di benedizione del ministro della Cultura. Ci sono voluti una telefonata del premier Saad Hariri, a Mosca in visita ufficiale, e un interrogatorio lunedì scorso presso il tribunale militare per chiudere il caso con un non luogo a procedere per prescrizione del reato.
Quello che non è chiuso è il doppio insulto. Il primo è quello contenuto nel film stesso, scritto da Ziad Doueiri e Joëlle Touma e ambientato a Beirut, che porta a galla la conflittualità interiore tra una parte dei libanesi e i palestinesi, presenti in Libano dal 1948 nei campi e fuori. Tema già affrontato dal regista in West Beirut del 1998, che in questo suo ultimo lungometraggio deflagra e stana il non detto. Una frase, forse una delle tante pronunciate a denti stretti, “se Sharon avesse finito il lavoro…”, scatena la reazione di un operaio palestinese contro un cristiano. Il caso viene portato in tribunale e sulla piazza mediatica. Lanciato nella grande agorà che è l’opinione pubblica in cui ci si riconosce e ci si divide, si riversano, si fanno e si disfano i sentimenti, riemerge la memoria dei massacri incrociati incisi in quella fetta di storia tra il 1975 e il 1990 con la quale è difficile – o non si vuole, ma si deve - fare i conti.
Poi c’è l’altro insulto, quello dell’arresto di Doueiri, vissuto, al di là della legittimità, come uno scippo della speranza, un brivido di paura dell’oscurantismo che defrauda la cultura della sua capacità di costruire ponti. “C’è qualcosa al di là di noi due. E’ la storia? La storia che fa sì che nelle nostre vite siamo nemici, io sono libanese, non ho il diritto di parlarti, è scritto nella legge. Ed è nel mio paese che tuo figlio è morto”: a Parigi, Wajdi Mouawad, autore, regista e attore libano-canadese, ha ospitato giusto dall’8 al 10 settembre scorsi al teatro nazionale la Colline, che dirige dal 2016, lo scrittore israeliano David Grossman, vincitore del premio Man Booker International 2017 col romanzo Un cavallo entra in un bar, testo dal quale sono scaturiti un incontro aperto al pubblico tra i due artisti e un lavoro radiofonico. Due nemici, secondo la legge, si sono confrontati attraverso la letteratura.
Oggi L’Insulto, una coproduzione tra la Francia, il Libano, Cipro e il Belgio, sarà proiettato in anteprima a Beirut e poi su tutti gli schermi e sarà un'occasione per specchiarsi nelle lacerazioni e ferite ancora aperte e, come i protagonisti del film, provare a guardarsi negli occhi.
12 settembre 2017