Emanuela Ulivi

E’ lei, una donna, la scrittrice omanita Jokha Alharthi, la vincitrice di quest’anno del Man Booker International Prize, il riconoscimento letterario dedicato ad autori i cui lavori siano stati pubblicati o tradotti in lingua inglese. Col suo romanzo Celestial Bodies (Corpi celesti) porta per la prima volta un autore arabo su questo podio prestigioso ed è la prima donna omanita a veder tradotto un proprio testo in inglese.

Istituito nel 2004 per allargare la platea dei candidati anche a scrittori non anglofoni, il Man Booker International Prize affianca il celebre Man Booker Prize - nato nel 1968 e riservato al migliore romanzo scritto in inglese e pubblicato nel Regno Unito – e dal 2016 è assegnato con cadenza annuale anziché biennale, al miglior libro tradotto in inglese.

Celestial Bodies racconta la storia di tre sorelle in un villaggio dell’Oman prese da vicende e stati d’animo diversi, che tra il poetico e l’immaginifico si rapportano coi sentimenti narrando al contempo i cambiamenti sociali che hanno attraversato il paese. E si addentra in tematiche sensibili quali la schiavitù, abolita in Oman nel 1970 - che, come ha ricordato l’autrice, non è esclusiva di qualche paese ma è parte della storia dell’umanità - che trovano nella letteratura l’ambito ideale per essere affrontate.

Pubblicato originariamente in arabo, edito in inglese dalla Sandstone Press, una piccola casa editrice di Dingwall, in Scozia, il romanzo di Jokha Alharthi è stato tradotto in maniera particolarmente apprezzata dalla giuria dalla statunitense Marilyn Booth, docente di Letteratura araba a Oxford, che ha condiviso con l’autrice il premio di 64.000 dollari.

Jokha Alharthi, quarantenne, incoronata martedì sera alla Roundhouse di Londra non è nuova a rapporti col mondo anglosassone. Ha studiato Poesia e Letteratura araba classica all’Università di Edimburgo prima di tornare in Oman dove insegna alla Qaboos University di Mascate. Ha scritto altri tre romanzi, due libri per bambini e una serie di racconti.

La storica Bettany Hughes, presidente della giuria del premio, come riporta il Guardian, ha sottolineato che “attraverso i vari ambiti di vita della vita delle persone, gli amori e le sconfitte, veniamo a conoscenza di tutte le componenti di questa società, dalle famiglie più povere degli schiavi che lavorano a quelli che fanno soldi attraverso l'avvento di una nuova ricchezza in Oman e a Mascate. Una storia che inizia in una stanza e finisce in un mondo”. Eppure schiva qualunque stereotipo di genere e di razza, qualsiasi distinzione sociale. Per questo, conclude Bettany Hughes, “ce ne siano innamorati”.

Dimostra anche che la creatività e la ricchezza letteraria sono ben presenti nel mondo arabo e non solo nei paesi più celebrati quali l’Egitto, la Palestina, il Libano e il Marocco. “forse quello che si impara di più è quanto siano simili nella loro ordinarietà, negli scambi umani e nelle emozioni e in che modo le società che potrebbero apparire così diverse siano in realtà così simili”, ha aggiunto la studiosa Marilyn Booth, traduttrice del libro premiato.

E quasi a farle eco, l’autrice Jokha Alharthi ha spiegato che “gli scrittori affrontano sacrifici e trovano gioia nello scrivere o nell'arte, come da qualsiasi altra parte. Questo è qualcosa che il mondo intero ha in comune. Gli omaniti, coi loro scritti, invitano gli altri a guardare l'Oman con mente e cuore aperti. Non importa dove ti trovi, amore, sconfitta, amicizia, dolore e speranza sono gli stessi sentimenti e l'umanità ha ancora molto da lavorare per credere a questa verità."

23 maggio 2019

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