Emanuela Ulivi 

Al bilancio crescente delle vittime delle guerre e del terrorismo in Medio Oriente, va aggiunta la distruzione progressiva, ormai da anni, del patrimonio culturale e archeologico. In Iraq, ci sono stati prima la guerra, nel 2003, col successivo saccheggio di musei, biblioteche e siti archeologici, ed ora le demolizioni ad opera dell’Esercito Islamico. In Siria, se la vittima più illustre dell’ISIS è Palmira, e l’archeologo Khaled Asaad, ex responsabile del sito, decapitato, è diventato il simbolo della resistenza alla barbarie, le ferite al patrimonio vanno da Aleppo all’Eufrate.

L’Esercito Islamico ne fa scempio per scopi economici, rivendendo i reperti per autofinanziarsi. Di questa ondata di devastazioni parliamo con il professor Stefano Valentini, condirettore del Centro Studi dell’Antico Mediterraneo e Vicino Oriente. Il CAMNES, che ha sede a Firenze, è un’eccellenza italiana in ambito archeologico, di respiro internazionale. Dalle similitudini tra i percorsi storici, a tratti comuni, di queste due aree, il Mediterraneo e il Medio Oriente, il CAMNES ha tratto impulso per allargare la prospettiva alla ricerca degli elementi di matrice culturale locale e quelli frutto di contaminazioni ed elaborazioni, proponendo così un approccio “archeologico” alla questione dei rapporti tra Oriente e Occidente. 

Qual è, professor Valentini, la situazione al momento?

“La situazione è tragica e non lascia ben sperare. Solo con la presa di coscienza da parte delle Nazioni più ricche, impegnate sullo scenario Medio Orientale, che dal processo di "normalizzazione" e contrasto all'ISIS nessuno deve essere escluso e solo con il contributo di tutti i soggetti interessati e soprattutto dei popoli dei paesi in guerra, si potrà innescare un processo duraturo verso la pace. Solo la pacificazione dei popoli potrà portare alla difesa del Patrimonio Culturale ed Archeologico. Una pacificazione che trovi le sue radici nella comune matrice storica della grande tradizione culturale eredità della civiltà del Vicino Oriente Antico, le cui vestigia costituiscono una memoria tangibile”. 

Oltre all’Iraq e alla Siria, dove si è insediato l’autoproclamato Stato Islamico, ci sono anche altri Paesi in cui il terrorismo costituisce un rischio per il patrimonio. Ad agosto, Firenze ha ospitato il convegno mondiale di Egittologia, organizzato in collaborazione proprio col CAMNES. Era per addetti ai lavori, ma di cosa si è parlato? ed è stata toccata la questione?

“Si è trattato dell'XI Congresso Internazionale degli Egittologi. Il Museo Egizio di Firenze si è aggiudicato l'organizzazione dell'evento riuscendo a vincere la concorrenza di altre istituzioni mondiali tra le quali il Museo Egizio di Torino. Il congresso patrocinato dall'International Association of Egyptologist si era tenuto per l'ultima volta a Rodi nel 2010 e da allora, per le note vicende politiche che hanno coinvolto l'Egitto, non era stato più possibile organizzarlo. A Firenze sono arrivati più di 750 delegati da tutti e cinque i continenti. La manifestazione, riservata a specialisti e studiosi di Egittologia, ha avuto un grande successo scientifico e si sono discusse le ultime scoperte, le nuove tendenze della ricerca e si è dibattuto ovviamente anche dei rischi cui è sottoposto il patrimonio archeologico egiziano in questo periodo turbolento per tutto il Medio Oriente. Alla cerimonia di apertura ha partecipato anche il Ministro delle Antichità Egiziane, che ha rivolto un appello a tutti i paesi del mondo, affinché i monumenti egiziani siano da tutti considerati come un patrimonio dell'umanità da difendere”.

In un contesto così turbolento quale quello del Medio Oriente, il mercato di opere d’arte fa affari d’oro. Cosa si può fare per contrastare questo fenomeno?

“Il fenomeno deve essere combattuto su due fronti. Da una lato deve essere debellata la piaga degli scavi clandestini nei paesi che custodiscono immensi tesori e monumenti archeologici. E questo sarà possibile farlo solo con una pacificazione dello scenario geo-politico. Dall'altro, nelle ricche democrazie occidentali, si deve combattere il mercato illecito dei reperti archeologici. Con una legislazione che sia riconosciuta da tutti senza eccezioni. Perché sono le eccezioni che rendono il problema irrisolvibile”.  

Nel Mediterraneo ci sono le radici della nostra civiltà. Ma non solo della nostra. Dal suo punto di vista, si può parlare di una civiltà mediterranea?

“Si deve parlare di una civiltà del Mediterraneo, perché questo storicamente è stato crocevia tra Oriente ed Occidente, nonché la culla della civiltà da cui storicamente proveniamo. La Rivoluzione Neolitica, la Rivoluzione Urbana sono fenomeni che hanno segnato la svolta nel percorso di acculturazione di tutta l'umanità; e questi fenomeni originatesi nel Vicino Oriente si sono diffusi attraverso il Mediterraneo, per raggiungere l'Europa”. 

“E nel percorso per certi versi ciclico della storia – prosegue Valentini-, il Mediterraneo è tornato ad essere più che mai, oggi, il punto cruciale con cui tutta l'Europa e l'Occidente devono confrontarsi. In maniera aperta, costruttiva e positiva, senza paura. In un percorso fatto di conoscenza reciproca, che abbatta le barriere della diversità e dell'ignoranza, il peggior nemico della libertà. La storia è qui a dimostrarcelo: dal confronto delle diverse culture dei popoli che si affacciano nel Mediterraneo sono scaturite tra le più feconde rivoluzioni culturali di sempre”.

Gli archeologi spesso arrivano in zone dove neanche gli inviati di guerra osano mettere piede. La missione a Hatra, la Città del Sole, al confine tra Siria e Turchia, ne è un esempio. Che mestiere è quello dell’archeologo oggi?

“La figura dell'archeologo del Vicino Oriente Antico è cambiata per sempre. I recenti fatti di guerra in Medio Oriente ci hanno portato a rivedere completamente il nostro approccio per la disciplina e soprattutto nel rapporto con le popolazioni che ci ospitano. L'archeologia orientale avrà un futuro solo se riuscirà definitivamente a superare la fase "colonialista". Non potremo pensare più di andare in Siria o Iraq pensando di svolgere le nostre attività avulsi dal contesto politico-culturale. L'effetto "campana di vetro" che molti degli archeologi del Vicino Oriente hanno utilizzato per portarsi al di sopra della realtà nei decenni passati, è stato definitivamente spazzato via. La prospettiva dovrà essere quella di una collaborazione organica e fruttuosa con i governi locali e con gli studiosi, soprattutto quelli più giovani, che dovranno ricostruire una disciplina, una cultura delle antichità e soprattutto una memoria condivisa che possa essere alla radice di un futuro di pace per le nuove realtà che da queste ceneri prima o poi risorgeranno”. 

Il CAMNES ha in mente un progetto internazionale di eccellenza scientifica, un network tra istituzioni nel bacino del Mediterraneo e nelle regioni del Medio Oriente. Di cosa si tratta?

“E' la nostra filosofia. Il CAMNES è nato per questo. Tutte le nostre attività e i nostri progetti si basano su due pilastri. Il primo è quello dell'Archeologia Pubblica, e cioè la volontà di comunicare ad un pubblico più ampio possibile contenuti di solito appannaggio di ristrette cerchie di studiosi. Diffusione e disseminazione. L'altro pilastro è quello di cercare sempre e comunque di estendere la progettualità ad un livello internazionale per ampliare la rete tra gli studiosi di diversi paesi e soprattutto per ampliare il bacino dei possibili beneficiari dello sviluppo della ricerca. Considerata l'attualità, verrebbe da pensare che mai missione sia stata più difficile, ma è proprio per questo che dobbiamo lavorarci adesso, per gettare le basi di una koiné culturale mediterranea che affondi le proprie radici in quel patrimonio archeologico, testimonianza materiale e visibile per tutti noi cittadini del mondo”.

11 novembre 2015

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