Emanuela Ulivi 

Non le è stato chiesto “concilia?” E’ stata invece arrestata mentre era al volante: proprio perché era al volante. Giorni fa in Arabia Saudita, una donna kuwaitiana stava accompagnando suo padre in ospedale perché diabetico a bordo di una Chevrolet Epica quando, riporta il Kuwait Times, la polizia l’ha fermata in una località vicina al confine col Kuwait. E nonostante la donna avesse spiegato che quello seduto accanto a lei era suo padre che non poteva guidare, è stata trattenuta per accertamenti. Insomma, arrestata.

E’ in occasioni come questa che non è superfluo ricordare che l’Arabia saudita è il solo Paese al mondo in cui alle donne non è necessario infrangere le regole del codice della strada per farsi multare. Basta guidino l’auto per scontrarsi con una legge non scritta ma radicata in molti, che considera la donna al volante un pericolo per la società. La lista dei danni da scongiurare è, ad esempio, quella enumerata da un religioso in occasione della protesta delle donne il 26 ottobre scorso, contenuta in una sua dichiarazione riportata dal New York Times: matrimoni in rovina, riduzione delle nascite, diffusione dell’adulterio, aumento degli incidenti stradali, spesa eccessiva per i cosmetici.

Invece è proprio al volante che le saudite, cui non viene concessa la patente ma che invece guidano benissimo, vogliono condurre la battaglia delle battaglie per la parità.

A niente sono valsi gli appelli pubblici e quelli privati dei benpensanti, le prese di posizione delle autorità religiose, l’hackeraggio e gli insulti arrivati sul sito Internet della manifestazione. La dissuasione non ha funzionato e l’ultima domenica di ottobre le donne – quelle che la patente l’hanno presa all’estero, dove, anche qui, le donne possono recarsi solo col permesso del “guardiano” maschile – sono scese in strada. Alcune decine, stando ai vari report. Forse davvero c’erano più giornalisti che donne alla guida. Ma questo non fa altro che dimostrare che  in ogni caso la manifestazione ha ottenuto il suo scopo mediatico. Nessuna di loro è stata arrestata.

In prigione ci è finito il giorno successivo, il 27 ottobre, Tariq Al-Mubarak, opinionista e insegnante saudita, per aver sostenuto la campagna delle donne. Ci è rimasto quattro giorni, mobilitando Human Rights Watch e le organizzazioni internazionali dei giornalisti. Venti giorni prima Tariq Al-Mubarak aveva firmato sul giornale Asharq al-Awsat un articolo intitolato E’ ora di cambiare la posizione delle donne nel mondo arabo, in cui criticava il divieto di guidare e altre discriminazioni che soffrono le donne.

E’ dal 1990 che le donne protestano per mettere in moto non solo l’auto ma il processo di emancipazione. Ventitre' anni fa, il 6 novembre 1990, 47 donne che ricoprivano cariche pubbliche inscenarono una protesta sfilando in auto nelle strade della capitale saudita, per rivendicare il loro diritto alla patente. E’ stato il primo passo. Ora il testimone è passato ad altre. Una di loro è Manal Al Sharif, attivista dei diritti umani. Nel 2011 ha lanciato la campagna Women2Drive e ha sfidato apertamente il divieto filmandosi alla guida della sua auto e postando il video su You Tube. Manal è stata in prigione nove giorni. Ma questo non ha spaventato affatto le donne.

7 novembre 2013

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