Donatella Mercanti
"In primavera, Tipasa è abitata dagli dei e gli dei parlano nel sole e nell’odore degli assenzi, nel mare corazzato d’argento, nel cielo d’un blu crudo, fra le rovine coperte di fiori e nelle grosse bolle di luce, fra i mucchi di pietre”, così scrive Albert Camus nei suoi ‘saggi solari’.
Anche le statue di Fuad, scultore e pittore nato nell’antica Arbil, nel Kurdistan Iracheno, opere in bronzo, in terracotta policroma, sembrano dialogare con un mondo divino, nel silenzio profondo e veggente di un meriggio. Cercano con i loro occhi allungati , ‘occhi grandi che guardano lontano’- come nelle sculture sacre dell’arte assiro-babilonese- la bellezza spirituale, la verità, la forza del coraggio e dell’armonia. Un sole mesopotamico, visi e corpi giovani di uomini e donne stretti in un abbraccio elegante e sicuro, o chinati a dialogare con le creature della natura. Il bronzo delle statue di Fuad, da lui privilegiato per giocare con le luci e le ombre, le sue terracotte incise da movimenti floreali, i capelli inanellati delle fanciulle, i copricapi etnici, che fanno pensare all’antica Persia, occupano con leggerezza lo spazio vuoto.
Alcune, snelle, figure femminili, guardano in alto e portano un violino in testa, offrendo al mondo la loro interiorità più preziosa.Il violino, per l’artista, che trae suggestioni da Arman, pittore e scultore francese del Novecento, è metafora del bello. La musica e lo strumento musicale sono un motivo ricorrente nelle sue composizioni, anche pittoriche, nella sua ricerca espressiva che scompone lo spazio, personalizzando spunti cubisti. “La modernità per me” , ci spiega Aziz Fuad, “non nasce da cose estranee, ma dalla ricerca interiore delle mie radici, dalla mia tradizione, dalla mia cultura, che fa di me quello che sono, che mi orienta nella vita. Ma, sempre, desidero accogliere gli spunti offerti da un momento storico nuovo, da culture a me vicine. Lo sviluppo culturale non è un percorso lineare, ma si contamina e arricchisce con ciò che ci viene portato dall’altro. Amo sperimentare forme essenziali e materiali, fare ricerca.”
La luce, la trasparenza, i colori vivaci, il rosa, il rosso, l’azzurro, l’arancio, il giallo, le sfumature dei blu, che brillano nella sua pittura , portano con sé echi medio-orientali, ricordi e nostalgie della vita quotidiana ad Arbil. Aziz Fuad da trentacinque anni vive con la sua famiglia a Firenze, giovanissimo ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Baghdad, a diciotto anni si è trasferito in Italia, a Roma, dove ha avuto il privilegio di incontrare il grande Emilio Greco che è divenuto suo maestro. La sua formazione si perfeziona all’Accademia di Belle Arti di Firenze, paese dove ha scelto di lavorare e di restare. “In questi anni fiorentini, ho lavorato molto, ho dipinto molto, ma soprattutto mi sento uno scultore”. Si potrebbe dire di lui, come disse di sé Arman : “je suis un peintre qui fait de la sculpture”. “E’ stato difficile entrare nell’ambiente artistico fiorentino, sono affermato, riconosciuto dalla città, ricevo soddisfazioni, ma sento che ancora oggi, per l’arte contemporanea, è difficile trovare uno spazio accogliente a Firenze. Questa splendida città sente il suo passato e con difficoltà si apre al nuovo. E’ più facile a Parigi, a Barcellona, inventare un’oasi espositiva, in ogni quartiere ci sono mostre di arte contemporanea. Credo che si dovrebbe educare al bello, dare più occasioni alle arti nuove per manifestarsi, ogni periodo ha la sua testimonianza da lasciare per il futuro.”
Il messaggio artistico di Aziz Fuad, uomo del mondo arabo, ora cittadino di Firenze, esprime valori profondi, forti, la ricerca del giusto, della pace, in forma poetica. “Bisogna essere forti senza perdere la tenerezza”, sorride e così ci saluta.
18 febbraio 2013