Emanuela Ulivi
Nuova sforbiciata della censura che all’ultimo momento ha sfilato al Beirut International Film Festival –per la seconda volta-il film iraniano Green Days dalla piccola rassegna di giugno dedicata alle pellicole proibite nelle edizioni 2009 e 2010, mentre sono in corso le selezioni per l’undicesima edizione del BIFF previsto dal 5 al 13 ottobre. “In quattordici anni non ho mai avuto problemi”, afferma Colette Naufal direttrice del BIFF -e fondatrice nel 2003 della Beirut Film Foundation- che offre ogni volta un panorama della produzione cinematografica al di là dei circuiti tradizionali di programmazione. Suddiviso in diverse sezioni, alle quali si e’ aggiunta nel 2010 quella “Culinaria”, tra lungometraggi, documentari e corti il festival (finanziato da privati) si divide tra una parte competitiva rivolta principalmente ai paesi dell’area mediorientale e una serie di proiezioni fuori concorso. Significativa la presenza della filmografia e del cinema italiano sugli schermi del festival. Da Nuovo mondo di Emanuele Crialese nel 2006, a Il Divo di Paolo Sorrentino che ha aperto l’edizione del 2008. Nel 2009 la retrospettiva su Paolo Benvenuti, con Puccini e la fanciulla, Il bacio di Giuda e la pellicola Compleanno di Marco Filiberti, mentre nel 2010 e’ stata Sofia Coppola a inaugurare il BIFF con Somewhere e Luca Guadagnino con Io sono l’amore a chiudere la manifestazione. Che, tra alterne vicende dovute agli eventi che si sono susseguiti in Libano, data dal 1997 con una media di 12.000 spettatori per ogni edizione ed ha avuto spazio e accoglienza sia a Cannes che alla Biennale del Cinema di Venezia dove nel 2006, all’indomani della guerra tra Hezbollah e Israele, il mondo del cinema si è stretto intorno al BIFF.
Il programma della settima edizione è stato infatti presentato in laguna da Colette Naufal e dalla presidente della Fondazione Alice Eddé, affiancate dal presidente della Biennale Davide Croff e dal direttore della 63° edizione della Mostra del Cinema di Venezia Marco Müller, in un abbraccio di solidarietà culminato nel lancio della campagna Make Films Not War a favore del dialogo e del rispetto dei diritti umani quali antidoto all’odio, all’oppressione repressione e alla guerra. Un incoraggiamento a continuare nonostante la distruzione, le difficoltà. Non ultima la censura del film Green Days nel giugno scorso riprogrammato in una mini rassegna dal 23 al 26 insieme ad altre quattro pellicole “bocciate” dalla censura libanese nelle edizioni 2009 e 2010 del festival: Chou Sar?, pellicola libanese di De Gaulle Eid ambientato durante la guerra civile, destinatario del premio speciale della giuria del BIFF nel 2010, Le Chantdesmariées di Karin Albou, premio Aleph come migliore lungometraggio alla nona edizione del BIFF e due film di Paolo Benvenuti, Confortorio e Gostanza Da Libbiano. Il primo è la storia di due giovani ebrei condannati a morte per furto, obbligati a convertirsi al cattolicesimo, mentre Gostanza da Libbiano, ambientato nel 1594 a San Miniato al Tedesco, nel Granducato di Toscana, racconta di un’anziana contadina, da sempre guaritrice, accusata dall’Inquisizione di stregoneria.
Film che avevano disturbato in anticipo sensibilità diverse. Green Days due volte: una nel 2010, quando non era stato censurato ma le autorità libanesi ne avevano imposto il ritiro dalla programmazione del festival poiché in coincidenza con la visita in Libano del presidente iraniano Ahmadinejad. Ragioni di opportunità si direbbe, visto che il film documentario della giovane Hana Makhmalbaf, figlia del regista iraniano Mohsen Makhmalbaf, tra fiction e spezzoni dal vivo testimonia la protesta della piazza iraniana dopo le elezioni presidenziali del 2009 che hanno riconfermato Ahmadinejad alla guida dell’Iran. Ora il nuovo ordine di ritiro, arrivato, fa sapere Colette Naufal, a due giorni dall’inizio della rassegna, dalla Sicurezza Generale che in un primo tempo aveva concesso il permesso alla programmazione del mini festival. Ma per quali ragioni stavolta?
Negli ultimi anni la censura ha vietato altre proiezioni. Nel 2008 era toccato al film d’animazione franco-iraniano Persepolis –una nomination agli Oscar e Gran Premio della Giuria 2007 a Cannes- dell’iraniana Marjane Satrapi, sulle repressioni in Iran sia al tempo dello scià che dopo l’avvento della Repubblica islamica, la cui diffusione era stata proibita in Libano dalla Sicurezza generale –che dipende dal ministero dell’interno- e poi consentita in seguito alle pressioni dell’opinione pubblica e di parte dei politici, tra i quali l’allora ministro dell’informazione. Lo stesso che, legge alla mano, pur contrario alla censura ai tempi di Internet, nel 2009 spiegava l’impedimento alla distribuzione del film di animazione israeliano di Ari Folman Walzer con Bachir sui massacri di Sabra e Chatila, col fatto che in Libano è vietato importare o vedere film israeliani. Concesso –prima del montaggio- e poi ritirato, sempre nel 2009, il permesso per la distribuzione di Help del regista libanese Marc AbiRached, disposto ad oscurare alcune immagini del suo primo lungometraggio ma non 28 minuti su 87. In aggiunta alla lista, i cinque film che il BIFF ha riproposto questa estate. Il battage sui media aveva indotto infatti il governo Hariri a formare una commissione incaricata di pronunciarsi sui film destinati ai circuiti dei festival, soggetti a regole diverse rispetto a quelle previste per i circuiti commerciali. “Per questo ho fatto un piccolo festival” spiega la direttrice Naufal.
Naufragato il governo Hariri a gennaio con le dimissioni dei ministri dell’opposizione, sull’appoggio al Tribunale Speciale per il Libano dell’ONU (che a fine giugno ha spiccato quattro mandati d’arresto per altrettanti appartenenti ad Hezbollah per l’assassinio dell’ex premier Rafik Hariri) e con l’ex opposizione, che comprende il Partito di Dio legato all’Iran, diventata oggi maggioranza in Parlamento, a metà giugno è stato formato un nuovo governo guidato da Nagib Mikati. Ancor prima di insediarsi, è arrivata la censura del film iraniano Green days. “Mentre la regione si sta aprendo, noi ci chiudiamo”, commenta Colette Naufal, “non si può cominciare a chiudere sulla cultura che è l’asset più prezioso del Paese”. Del quale il cinema fa parte.
9 Luglio 2011