Reportage di Alessandro Vanni 

Istanbul - Sono stato qui la prima volta che ero poco più di un bambino, ma il fascino della città mi aveva colpito già allora e mi è sempre rimasto impresso nella memoria. Le fontane per le abluzioni rituali prima della preghiera all’esterno della Moschea di Sultan Ahmet, l’incredibile dedalo di viuzze del Gran Bazar, gli innumerevoli miei coetanei che vendevano bicchieri d’acqua da taniche più grandi di loro ai turisti occidentali, che impietositi più che assetati, viste le condizioni igieniche delle stoviglie, talvolta elemosinavano una moneta.
A distanza di 25 anni i bambini vendono l’acqua in bottiglia da mezzo litro a 50 centesimi di lira turca (circa 1/4 di euro) ad ogni semaforo, inseguendoti con un tesekkür -grazie- per l’acquisto. Il fascino è immutato, anche se la città è profondamente diversa e in continuo cambiamento.
Sull’Istiklal, il viale principale del quartiere di Beyoglu, che porta a piazza Taksim, è un brulicare di turisti da ogni parte del mondo. Nelle stradine laterali, uno attaccato all'altro, locali affollati di giovani che tirano tardi mangiando meze con in mano un bicchiere di raki.

Se a un uomo venisse concessa la possibilità di un unico sguardo sul mondo, è Istanbul che dovrebbe guardare": Alphonse De Lamartine, nell'800, sintetizzò così quella che ti si apre davanti agli occhi. Adagiata sul Bosforo, unica città al mondo su due continenti, Istanbul racchiude il senso dei dialoghi e delle convivenze possibili nel mondo. Sulla sponda europea ci sono ancora moltissimi edifici in legno, alcuni abbandonati, molti trasformati in alberghi e ristoranti. La città è un cantiere a cielo aperto, un mix tra passato e moderno. Il traffico è insopportabile, gli stessi tassisti - incredibile per un italiano - ti consigliano di scendere prima dell’ingorgo e prendere la metropolitana, peraltro ottima e puntuale. Tutta la rete di trasporti della città: autobus, metropolitana, il Tunel - la funicolare - i vaporetti, la tramvia di superficie, il tram elettrico di Istiklal Caddesi, sono abilitati al pagamento con l’Akbil, letteralmente "biglietto intelligente", una piccola chiavetta prepagata che scala il costo della corsa, variabile ma economico, che tutti i giovani portano attaccata insieme alle chiavi di casa.

Sopravvivono alcune tradizioni di un tempo, ma il futuro incalza in questa megalopoli di oltre 13 milioni di abitanti. Il suo orizzonte è quello delle cupole e dei minareti, ma la voce del muezzin che chiama alla preghiera risuona ora da altoparlanti che, a volume altissimo, riecheggiano 5 volte al giorno. Anche la “Moschea Blu” non è stata risparmiata dalla modernità. Fuori, oltre a un finto sultano pronto a farsi fotografare dall'ultimo gruppo di giapponesi e a uno stuolo di venditori ambulanti di souvenir, ha fatto la sua ingombrante apparizione un pannello luminoso con scritte a scorrere, che rimanda più a un quiz televisivo a premi che alla massima espressione artistica dell’architettura religiosa ottomana.

Come in un flashback viene in mente la storia studiata sui libri. Fondata nel 657 a.C. la città venne distrutta dall’Impero Romano e riedificata nel 330 d. C., con il nome di Costantinopoli. Ha fronteggiato attacchi greci, romani, bulgari, crociati. Maometto II la conquista nel 1453, costruisce moschee e splendidi palazzi e gli dà il nome che porta tutt'oggi: Istanbul. Dopo la caduta dell’Impero Ottomano la città conobbe un profondo declino, e venne occupata dagli Inglesi durante la prima guerra mondiale. La rivoluzione dei Giovani Turchi cambiò il volto del Paese. Nel 1923 nacque la Repubblica e la nuova capitale divenne Ankara, in Anatolia.

Il nuovo presidente, Mustafa Kemàl – conosciuto come AtatürkPadre dei Turchi – impose una svolta storica al Paese, una virata laica, stabilendo che il Corano non dovesse più coincidere con la legge dello Stato. In poco più di un decennio mise in piedi un nuovo ordinamento legislativo, abrogando il sultanato, riformando il sistema giudiziario, istituendo il matrimonio civile e concedendo il voto alle donne, ben prima dell'Italia o della Francia. Introdusse l’alfabeto latino e il calendario gregoriano.

Le immagini di Atatürk sono ancora oggi visibili ad ogni angolo della città, nei chioschi che vendono caldarroste o mais, arrostito o bollito in grandi calderoni d’acqua, negli alberghi, nei musei, nelle case. Un vistoso contrasto con le donne – e le ragazze giovanissime – velate, talvolta quasi completamente, soprattutto nella parte asiatica della città, che testimoniano che il clima non è più lo stesso. "Da qualche anno - riflettono alcuni ragazzi in piazza Taksim, pronti per iniziare la loro serata - si assiste a una regressione della laicità e le moschee, che prima non erano così frequentate, ora sono sempre affollate".

Da più parti si avverte con timore lo sbilanciamento verso posizioni anti-europee, specie dopo l'assalto di Israele alla Freedom Flottiglia al largo delle acque di Gaza, e le conseguenti manifestazioni in cui venivano bruciate bandiere israeliane nelle piazze di Istanbul. Un clima percepito come insicuro anche per il riacutizzarsi del conflitto con i curdi nella parte orientale dell’Anatolia. Proprio ora che, dopo la crisi di dieci anni fa, seguita al tremendo terremoto, la ripresa ha riportato i turisti in Turchia incrementando una crescita economica esponenziale. Istanbul, capitale della cultura europea 2010, continua ad essere lo specchio del mondo, a esprimere la sua vitalità e la sua unicità. Quello che i giovani desiderano, sperano e si augurano, è che la grande visione di Atatürk, che ha portato la Turchia a essere quella che è oggi, non si frantumi in briciole.

15 luglio 2010

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