Margherita Calderoni
KUWAIT - Dall’elegante aspetto e modi affabili di un gentleman anglosassone, di cui ha il perfetto accento, che aspetti di introdurti nella sua dimora, Ziad Rajab apre la porta del prestigioso museo archeologico privato di Kuwait City che prende il nome dal fondatore e proprietario, suo padre Tareq Rajab. Insieme alla sua consorte britannica, Jehan Wellborne, viaggiando in lungo e in largo per il mondo e presenziando alle maggiori aste internazionali, questo primo kuwaitiano a studiare Arte e Acheologia in Inghilterra fu successivamente nominato Direttore del Dipartimento di Antichità del Kuwait e nel tempo ha messo insieme una ricchissima collezione di opere in metallo, ceramica, tessuto, vetro, manoscritti di retaggio islamico dal VII secolo in poi.
"Fu proprio un suo insegnante inglese che vedendolo appassionato di arte occidentale, gli suggerì di dedicare altrettanto interesse ed entusiasmo all’arte del suo paese e della sua cultura - ricorda il figlio. Così cominciò la ricerca e la raccolta insieme a mia madre, culminata con l’apertura al pubblico di questo museo nel 1980.
Una passione che iniziò a 14 anni quando con i soldi messi da parte andò a Baghdad per procurarsi antichi manoscritti del Corano di cui la città aveva sempre avuto un primato. E’ così che nelle bacheche di uno dei corridoi dell’edificio si affacciano grandi tomi e piccoli libri ma sopratutto preziose pagine di manoscritti da tutti i paesi islamici, fra cui risalta l’opera del rinomato calligrafo Yaqut Al Musta’simi (XIII AD), di estrema importanza per lo sviluppo della calligrafia. Questa assurse a espressione d’arte in quanto doveva esprimere al meglio la parola del Profeta, tramandata oralmente fino al 651 AD e, come per i codici miniati cristiani, i colti scrivani arabi si produssero in espressioni calligrafiche sempre più elaborate e ornamentali a maggior gloria di Allah. Basra e Kufa, a sud e nord dell’Iraq, furono i centri di scrittura più rinomati, Qutbah al Muharrir, Ibn al Bawab, lo stesso Visir di Baghdad Abu Ali Muhammad ibn Muqlah (VII AD) sono nomi eccelsi nella storia della calligrafia araba che da vetuste pergamene fa bella mostra di se’, come quadri, alle pareti del museo allo scopo di illustrare il suo sviluppo nel tempo. Particolarmente importante perchè significativo per la storia della Scienza e probabilmente pezzo unico è il manoscritto sull’Ottica e altri temi scientifici del famoso studioso Al-Kindi del IX AD che lo dedicò ai califfi di Baghdad e adesso ha un valore incalcolabile.
"Ugualmente dicasi per un esemplare unico, a parte quello conservato all’Hermitage di San Pietroburgo, di un bruciatore di incenso in bronzo cesellato, raffigurante un leone e risalente all’XI sec AD, un’opera “firmata” eseguita probabilmente in Afghanistan - illustra Mr Ziad con giustificato orgoglio, prima di passare all’altro gioiello della collezione, un oggetto ornamentale per bruciare incenso, quasi un carro simbolico con fitte decorazioni di animali, motivi vegetali e iscrizioni beneauguranti: una “stupa”del XII AD proveniente da Ghazni, uno dei maggiori centri dell’Asia centrale per la lavorazione del metallo. A proposito di gioielli, il museo espone una raffinata selezione di oggetti in oro appartenuti a esponenti di famiglie reali, come la splendida collana della principessa Selma del Sultanato di Zanzibar, un raffinato pendente egiziano del XI secolo, una regale collana smaltata e incastonata con diamanti, rubini, smeraldi e perle, a onore della eccezionale oreficeria Mughaul nel XIII secolo.
"Un periodo d’oro per la creatività dell’arte islamica quello che va dai primi califfi all’invasione dei Mongoli- rimarca con un certo rimpianto Mr Ziad- che purtroppo non si è più ripetuto e vede oggi uno “stallo” in ogni tipo di artigianato come in ogni forma di arte". Invece il museo è una rutilante apoteosi della varietà di espressioni artistiche che va appunto dalla calligrafia alla soffiatura del vetro alle decorazioni su ceramica alla manifattura tessile.
"Purtroppo durante la guerra con l’Iraq è andata persa una splendida raccolta di 500 tappeti, distrutti dalle truppe di occupazione che avrebbero fatto altrettanto con questi tesori se la tempestiva presenza di spirito della mia famiglia non avesse murato l’attuale ingresso al museo, lasciando solo un’anticamera di oggetti dozzinali per la loro sete predatoria" ricorda Mr Ziad, mostrando il punto dove l’insospettata “caverna di Aladino” si era celata agli iracheni. Una suggestiva entrata che oggi saluta gli ospiti con una pesantissima porta di metallo istoriato proveniente da una moschea del Cairo, mentre un artistico costume femminile sullo sfondo introduce i tesori in mostra. Fra l’altro la presenza femminile è sottolineata dal ritratto di Jane Digby, nobildonna inglese dalla vita pittoresca che dopo alcune fughe d’amore finì la sua romantica avventura con uno sceicco beduino 20 anni piu’ giovane.
Sontuosi abiti da cerimonia, elaborati abiti nuziali, tuniche e mantelli dallo Yemen, Palestina, Siria si pavoneggiano nelle vetrine all’eco di note musicali da quella di innumerevoli strumenti di varia foggia, dimensione, provenienza, a ricordare un tempo in cui si suonava e ballava nei palazzi e nei bivacchi, attivita’ oggi molto limitate e ristrette se non proibite. Da incoraggiare invece l’apertura degli orizzonti culturali, come auspica Mr Ziad e come è nelle intenzioni del museo, nato dal desiderio di circondarsi di cose belle ma anche di condividerle.
"L’arte non ha confini, è una lingua universale; il passato insegna molte cose - conclude Mr Ziad - ed è una grande soddisfazione illustrare il contributo islamico nei secoli alla creatività umana e abbiamo avuto grande successo nell’esporre a Singapore come in Ungheria parte della nostra collezione. Auspicando anche un’esposizione in Italia, culla della cultura occidentale, il Tareq Rajab museum rimane una meta obbligata per chi si trova nella modernissima Kuwait City alla ricerca di tracce del passato che ricreino in un giorno di visita il fascino dell’atmosfera orientale favoleggiata in Mille e Una Notte.
29 gennaio 2010