Emanuela Ulivi 

E’ pura adrenalina, come il titolo della sua prima raccolta di poesie in italiano (Adrenalina,  Edizioni del Leone 2009) che scende nella mente mentre Joumana Haddad Oriana Capezio - che li ha tradotti dall’Arabo - leggono nelle due lingue, le voci parallele, ogni tanto sovrapposte, i versi prepotenti, talvolta arroganti, di una poeticità che fa del corpo parola. Sfrontatezza lirica di fronte al mondo, a se stessa, all’altro, al corpo che Joumana offre come condizione alla poesia. Versi che finalmente ci mettono a contatto diretto con la giovane poetessa libanese, gia’ intravista in due antologie di racconti a cura di Valentina Colombo.

Per il tramite della musica dei suoi versi, per il tramite di una lingua araba ignota ai più, per il tramite di un corpo fonte di desideri inestinguibili, scoscesi, Joumana ha conquistato le anime, tra le 19 e le 20 di un pomeriggio di aprile, in una libreria di Roma grande come una nicchia, dove la gente assiepata ha vissuto con gioia nuova questo straniamento dai canoni noiosi del nostro “fare cultura”. La musicalità dell’arabo, carezza mai vissuta, a depositare sapore nuovo e a pronunciare quello che l’intelligenza del nostro essere corpo e mente non aveva previsto. 
Per ritrovarsi compattati con se stessi. Riconciliati, salvati, riemersi dopo essere stati tirati giù negli abissi dei sentimenti, nelle fibre della carne, tra orridi insondati, dalla sua poesia scritta “con le unghie”, unghie che strappano i veli e affondano nella carne. Risollevati dall’ermeneutica di Joumana che dopo spiega -rispondendo  ai confusi interrogativi di un pubblico ormai ravì: “era così bella la musica delle poesie recitate in Arabo che la lettura in Italiano mi dava fastidio” -  il suo mondo dove il razionale e l’istinto sono solo categorie, il corpo strumento della mente, dove l’uomo non è il nemico della donna, dove la poesia, lo scrivere, non è atto solitario da consumare ritirati ma si alimenta, si nutre dei tutti.

Ma cosa sarebbe accaduto se Fagioli, Massimo Fagioli, lo psicoanalista, l’artista, l’inviato speciale della nostra cultura, non si fosse prestato per tutti a farsi disarticolare, attraversare, scombussolare, massimo tributo ad un corpo –poetico- fatto di bocche, fino a dichiarare la messa in gioco dell’identità? Perché Joumana è il coraggio: di far divorare il corpo dalla conoscenza e dalla filosofia, dai sentimenti e dall’amore. Di confessare le sette Joumane, tante quante sono le lingue che conosce e che la ripagano specchiandola. Una parla italiano, conosce i nostri scrittori, gli studiosi e gli intellettuali, intervistati come responsabili delle pagine culturali del quotidiano libanese An-Nahar. Un’altra è quella che nell’ottobre scorso ha lanciato la rivista in lingua araba Jasad, “corpo”, per logo un paio di manette: una aperta, dando spazio a scrittori e artisti che riflettessero il corpo nelle varie rappresentazioni, simbologie, proiezioni della nostra cultura. Una tappa anche questa, in un viaggio che ha per scopo il disvelamento di un volto, di un corpo e di un essere, che per amore di sintesi, Joumana chiama Lilith.

6 maggio 2009

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